I buongustai europei temono l’abbassamento degli standard di sicurezza e qualità, mentre gli Americani potrebbero godersi nuove prelibatezze.
I negoziati per il Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) stanno creando allarme fra i gourmet europei, che temono l’arrivo sul Vecchio Continente di carne agli ormoni, Ogm nascosti e Parma Ham “Made in Usa”. Al punto che le questioni agroalimentari sono al cuore della campagna “Stop TTIP”, che all’inizio di febbraio ha raggiunto più di 1,3 milioni di firme.
Il nodo principale riguarda la sicurezza alimentare. Mentre la normativa europea monitora ogni tappa del processo produttivo (principio “from farm to fork”), gli Stati Uniti controllano soltanto il prodotto finito. Inoltre, molte pratiche americane sono bandite nell’Unione europea: carne agli ormoni (vietata dal 1988); trattamento delle carcasse di pollo con antimicrobici (vietata dal 1997); uso di promotori della crescita per il bestiame…
A preoccupare i gourmet europei sono anche le statistiche: secondo stime del 2011 dell’US Center for Disease Control, ogni anno 48 milioni di Americani si ammalano per motivi alimentari e 3.000 muoiono, mentre nel 2011, 70.000 Europei si sono ammalati per via del cibo e 93 sono morti.
Consapevole delle crescenti resistenze della popolazione, la Commissione europea vuole rassicurare. “Le leggi che proteggono la vita e la salute umana, la salute e il benessere animale, l’ambiente e gli interessi dei consumatori, non saranno parte delle trattative”, afferma nei documenti resi pubblici.
Anche gli Ogm sono al centro del dibattito. Secondo la Grocery Manufacturers Association americana, il 70-80% del cibo consumato negli Usa contiene ingredienti geneticamente modificati. La Commissione europea ribadisce di non voler ammorbidire la propria normativa. “Credo nelle buone intenzioni della Commissione, ma come facciamo a controllare una volta rimosse le barriere? Le soglie percentuali sopra le quali sono dichiarati gli Ogm sono diverse negli Stati Uniti”, osserva Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia, associazione firmataria di “Stop TTIP”.
Secondo l’Ue, il Trattato darà slancio alle esportazioni europee verso gli Stati Uniti, in particolare per prodotti ad alto valore aggiunto – vini, liquori, formaggi, salumi e cioccolato – finora ostacolati da barriere tariffarie e non. Insomma un buon affare sia per il buongustaio americano, che potrà assaporare più facilmente Gorgonzola, Champagne o Jamón Serrano, che per le aziende europee.
L’associazione degli agricoltori europei Copa-Cogeca ha firmato nel dicembre 2014 un appello a favore del processo di negoziazione, ma il segretario generale Pekka Pesonen resta prudente: “Esiste un potenziale, perché molti dei 320 milioni di Americani sono interessati ai prodotti europei. Ma non sosteniamo in alcun modo un abbassamento degli standard europei di sicurezza, che metterebbe in discussione la credibilità di tutta la nostra filiera alimentare”. Secondo uno studio del Parlamento europeo del luglio 2014, le esportazioni europee del settore verso gli Usa potrebbero aumentare del 60%, ma le importazioni dagli Usa salirebbero del 120% entro il 2025. Se gli scambi saranno liberalizzati senza uniformare la normativa, i produttori europei saranno “svantaggiati dai costi maggiori derivanti dalla conformità con i regolamenti europei”, denuncia il rapporto; se la normativa sarà armonizzata, “c’è il rischio di livellamento verso il basso”.
Resta, infine, la questione delle denominazioni di origine geografica, di cui gli Usa non sempre riconoscono il valore legale. La Commissione europea intende negoziare “la protezione di una lista di Indicazioni geografiche europee e l’applicazione di regole contro il loro abuso”. Ma questo non impedirebbe alle imitazioni americane, eventualmente segnalate da parole come “stile” o “tipo”, di sbarcare nei supermercati europei a prezzi più bassi rispetto agli originali. “Il nostro sistema è fondato sulla tipicità e la riconoscibilità dei cibi: temiamo che, con il Trattato, la territorialità non sia più un valore”, denuncia Pascale di Slow Food Italia. E l’etichettatura dettagliata, che permetterebbe al consumatore di scegliere con cognizione di causa, incontra resistenze americane.
I buongustai europei temono l’abbassamento degli standard di sicurezza e qualità, mentre gli Americani potrebbero godersi nuove prelibatezze.