Il preferito del presidente è Chen Min’er, ma dovrà vedersela con il “piccolo Hu”. La gara all’interno della “Sesta generazione” dovrebbe essere tra loro due. Ma non è chiaro se Xi sarà pronto a lasciare il potere dopo i canonici dieci anni. Un’indicazione cruciale arriverà domani
Il Partito comunista cinese si dice sempre non sia monolitico, ed è vero. Benché questo non significhi poter conoscere quanto accade al suo interno, dentro alle sue fazioni. Analogamente però il Partito ha sue liturgie, i suoi movimenti. Così, alcune decisioni prese dai vertici nel corso del tempo, consentono di arrivare ad alcune ipotesi. Negli ultimi tempi – ad esempio – si sono messi in evidenza due funzionari che sembrano avere tutte le carte in regola per essere considerati «papabili» come successori di Xi Jinping, l’attuale numero uno e di sicuro confermato tale fino al 2022.
Per procedere però in modo chiaro e più semplice possibile, bisogna cominciare dall’inizio e, dato il Congresso in corso, è necessario fare uno sforzo per provare a immaginare alcuni scenari e cosa questi potrebbero significare per il futuro.
Intanto, chi sono i due candidati potenziali, i futuri leader della «Sesta generazione»? (In Cina si contano i leader per generazioni a cominciare da Mao, quindi Deng fu seconda generazione, fino arrivare alla quarta di Hu Jintao e alla quinta di Xi Jinping)
Chen Min’er, il preferito di Xi Jinping
Chen Min’er, classe 1960, è da tempo considerato un alleato ferreo di Xi Jinping. Secondo le mosse del numero uno e il parere di molti esperti, Xi ha seguito da vicino la carriera di Chen proprio per garantirgli una posizione di rilievo, fino a considerarlo un suo potenziale successore. Dallo Zhejiang, regione nella quale Chen è nato, quest’ultimo ha poi ottenuto un ruolo rilevante nella regione del Guizhou, fino a diventarne segretario del partito.
In questo ruolo ha effettuato politiche molto apprezzate da Xi soprattutto nella lotta alla povertà e nell’aver tramutato la regione nel punto di riferimento nazionale dell’industria dei Big Data, come abbiamo scritto su eastwest.eu.
Si tratta di due aspetti molto importanti, perché in linea con l’approccio di Xi Jinping evidenziato anche nel suo intervento ad apertura congresso: povertà e modernizzazione sono due punti fondamentali della sua idea di Cina.
Chen ha dalla sua anche l’età: è del 1960. Questo significa che potrebbe esercitare i due mandati, a cominciare dal 2022, senza essere in modo eccessivo oltre i limiti d’età imposti ai funzionari cinesi. Ma come vedremo in seguito, con Xi Jinping al potere non è detto che tutte le consuetudini siano rispettate.
Il colpo grosso di Chen Min’er, quello che ha convinto tutti sulle potenzialità reali della sua candidatura, è avvenuto solo pochi mesi fa, quando Sun Zhengcai, capo del partito di Chongqing, è stato fatto fuori perché accusato di corruzione. Al suo posto Xi ha nominato il suo «preferito» lasciando intendere di vedere in lui il suo successore, data l’importanza della «piazza» che è stato messo a gestire.
Hu Chunhua, il «piccolo Hu»
Hu Chunhua è ancora più giovane di Chen Min’er, perché è del 1963. Non è l’unico punto a suo favore, come vedremo. Hu è considerato il pupillo di Hu Jintao, l’ex presidente, tanto da essere soprannominato il «piccolo Hu». Carriera all’interno della Lega dei giovani comunisti, la cantera e il bacino del potere politico di Hu Jintao, è un funzionario che si è già contraddistinto a livello nazionale: ha saputo gestire al meglio le responsabilità che gli sono state affidate in Mongolia interna e in Tibet – due posti dove è facile bruciarsi – e di sicuro è una persona che ha grandi ambizioni, dalle origini povere e quindi perfetto per guadagnarsi la fiducia della popolazione.
Considerato il candidato di Hu, ha saputo conquistarsi la fiducia anche di Xi Jinping attraverso una condotta irreprensibile e grazie alle «lodi» pubbliche nei confronti del leader: secondo rumors interni al congresso, durante l’assise avrebbe effettuato un discorso dove avrebbe sancito il pensiero di Xi circa «il socialismo con caratteristiche cinese della nuova era» manifestando il proprio consenso per l’ingresso del «pensiero di Xi» nella carta costituzionale del Partito.
È considerato da anni il favorito: è già nel Politburo e la sua nomina all’interno del Comitato permanente sembrerebbe – se avvenisse – rispettare la logica che vuole il successore subentrare nel secondo quinquennio tra i sette (o i nove) più potenti.
Da questo punto in poi, però, meglio usare il condizionale.
Potrebbero essere entrambi nominati nel Comitato Permanente?
Serve dapprima una precisazione: il successore del leader non sempre è il candidato preferito dal numero uno della nomenclatura. Per Hu Jintao ad esempio il suo successore doveva essere Li Keqiang, ma il partito impose Xi Jinping, così come in precedenza a Jiang Zemin venne imposto Hu Jintao. In un partito che aveva abolito la carica di «chairman» – che potrebbe tornare in auge proprio con Xi – a sottolineare il proprio ruolo collegiale, la scelta del successore doveva accontentare tutti.
Si tratta di un fattore di cui Xi potrebbe anche tenere conto, ma non è detto.
Quindi: sì, entrambi domani potrebbero essere nominati tra i sette del Comitato Permanente. A quel punto si tratterebbe di vedere il loro ranking all’interno del Comitato per capire chi è leggermente favorito sull’altro.
Ma tutto questo potrebbe anche non accadere, perché per Chen Min’er si tratterebbe di un doppio salto piuttosto insolito: dal Comitato centrale (300 membri) direttamente al Comitato permanente (7 membri, attualmente) saltando dunque il periodo nel Politburo (25 membri). Vero che Xi ha dimostrato di saper «forzare», ma questa mossa potrebbe essere considerata oltremodo azzardata e dunque impedita.
Potrebbero non essere entrambi nominati nel Comitato permanente?
Anche in questo caso la risposta è sì: Xi potrebbe frenare Hu Chunhua proprio per aspettare il passaggio di Chen dal Politburo. Quindi potrebbero essere esclusi entrambi, ora, per essere poi nominati tutti e due nel Comitato permanente nel 2022.
Ma in questo caso la scelta potrebbe significare un’altra cosa: considerando che almeno cinque anni nel comitato permanente sono considerati «obbligati» per diventare numeri uno, potrebbe significare che Xi Jinping ha intenzione di rimanere oltre i dieci anni canonici.
A quel punto potremmo anche avere una «Sesta generazione» completamente bruciata dall’impero di Xi. Toccherebbe dunque alla «Settima generazione», attualmente nascosta agli occhi di tutti.
@simopieranni
Il preferito del presidente è Chen Min’er, ma dovrà vedersela con il “piccolo Hu”. La gara all’interno della “Sesta generazione” dovrebbe essere tra loro due. Ma non è chiaro se Xi sarà pronto a lasciare il potere dopo i canonici dieci anni. Un’indicazione cruciale arriverà domani
Il Partito comunista cinese si dice sempre non sia monolitico, ed è vero. Benché questo non significhi poter conoscere quanto accade al suo interno, dentro alle sue fazioni. Analogamente però il Partito ha sue liturgie, i suoi movimenti. Così, alcune decisioni prese dai vertici nel corso del tempo, consentono di arrivare ad alcune ipotesi. Negli ultimi tempi – ad esempio – si sono messi in evidenza due funzionari che sembrano avere tutte le carte in regola per essere considerati «papabili» come successori di Xi Jinping, l’attuale numero uno e di sicuro confermato tale fino al 2022.