I media cinesi non hanno usato mezzi termini il giorno dopo lo «smacco» della visita del premier giapponese Abe al santuario di Yasukuni. Ieri anche la Corea del Sud aveva condannato ferocemente il gesto del primo ministro di Tokyo, che ribalta tutti gli equilibri raggiunti fino ad oggi. Non a caso, tra i più nervosi, sarebbero proprio gli Stati Uniti: secondo indiscrezioni Washington poche ore prima della visita avrebbe consigliato Abe di non andare al tempio.
Era dal 15 agosto 2006, la data che ricorda la sconfitta giapponese durante la seconda guerra mondiale nel 1945, che un primo ministro giapponese non si recava al controverso santuario : allora toccò a Junichiro Koizumi. Ieri, invece, l’attuale premier nipponico, Shinzo Abe, ha scelto il modo peggiore, secondo il resto del mondo, per celebrare il suo primo anno da premier, recandosi al santuario shintoista di Yasukuni, ricordo storico dei caduti di guerra giapponesi, 2,5 milioni fin dai tempi del diciannovesimo secolo, tra i quali alcuni che sono stati considerati «criminali di guerra» dagli altri paesi asiatici e soprattutto dai tribunali di guerra post secondo conflitto mondiale.

Tra loro il più noto è sicuramente il generale Hideki Tojo, considerato il padre dell’attacco giapponese a Pearl Harbour ma anche il più accanito sostenitore del patto con la Germania nazista e l’Italia fascista. Hideki Tojo, ministro della Guerra dal 1940 al 1944 venne infine condannato a morte per crimini di guerra dal Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente. Un altro dei «criminali di guerra» presenti è il generale Iwane Matsui, responsabile del massacro di Nanchino in Cina, nel 1938.
La visita di Abe rientra in un periodo nel quale il Giappone ha annunciato un aumento consistente della propria spesa militare a conferma della ricetta politica-economica della Abenomics: non solo scelte economiche, ma anche politiche decisamente incentrate su un nuovo nazionalismo e una rinnovata arroganza della potenza giapponese.
Ovvio dunque che la mossa del premier di Tokyo abbia finito per scatenare violente reazioni da Pechino – che ha richiamato l’ambasciatore giapponese – e Seul, anche perché il gesto del premier nipponico conferma il suo sospettato revisionismo nazionalista, (ricordato da Abe nei suoi discorsi per porre fine alla visione «masochista» della storia da parte dei giapponesi) che sembra essere ormai una posizione «forte» a Tokyo; l’esito della visita è stato per altro prevedibile, benché abbia finito per accendere i toni molto più del solito per quanto riguarda la Cina, mentre la riposta più dura è arrivata dalla Corea del Sud, a confermare come la mossa del primo ministro giapponese e la sua prova di forza rischia di rimettere in discussione equilibri, che sembravano essersi rinsaldati dopo il gesto cinese di creare una zona di identificazione di difesa aerea nell’area del mar cinese orientale.
Pechino, ha definito la visita del primo ministro giapponese «assolutamente inaccettabile per il popolo cinese». Il Giappone, ha spiegato il Direttore generale degli Affari asiatici del ministero cinese degli Esteri, Luo Zhaohui, dovrà «sopportarne le conseguenze». Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Qin Gang ha detto che «l’essenza delle visite dei funzionari giapponesi al tempio Yasukuni è quella di glorificare la storia dell’aggressione militarista e della dominazione coloniale del Giappone. Questa è stata la prima visita di un capo di governo giapponese dal 2006 e l’evento crea un nuovo significativo ostacolo ai rapporti bilaterali con la Cina».
Da Seul i commenti non sono stati meno negativi: «non possiamo che deplorare ed esprimere la nostra rabbia per la visita del premier giapponese al santuario Yasukuni, nonostante le preoccupazioni e gli avvertimenti da parte dei paesi confinanti» ha dichiarato il ministro della Cultura sudcoreano Yoo Jin-Ryong; «la visita – ha aggiunto – indica un comportamento anacronistico che fondamentalmente reca danni non solo ai rapporti tra Corea del Sud e il Giappone, ma anche per la stabilità e la cooperazione nell’Asia nord orientale». Rammarico e fastidio anche dagli Stati Uniti che tramite l’ambasciata Usa a Tokyo, ha reso noto di ritenere la visita di Shinzo Abe al Santuario «responsabile di esasperare le tensioni con i paesi limitrofi».
I media cinesi non hanno usato mezzi termini il giorno dopo lo «smacco» della visita del premier giapponese Abe al santuario di Yasukuni. Ieri anche la Corea del Sud aveva condannato ferocemente il gesto del primo ministro di Tokyo, che ribalta tutti gli equilibri raggiunti fino ad oggi. Non a caso, tra i più nervosi, sarebbero proprio gli Stati Uniti: secondo indiscrezioni Washington poche ore prima della visita avrebbe consigliato Abe di non andare al tempio.