Li Keqiang non ha usato metafore: «Abbiamo già scelto l’acciaio e il carbone come i due settori per realizzare innovazioni iniziali nel ridurre la capacità di produzione, ha detto, allo stesso tempo, dobbiamo evitare un’ondata di licenziamenti di massa: dobbiamo procedere con la riduzione della capacità industriale, ma il grande numero di dipendenti non possono perdere la loro ciotole di riso, e dobbiamo sforzarci di trovare loro nuove ciotole di riso». Una sfida racchiusa negli obiettivo dell’appena approvato nuovo piano quinquennale.
La Cina deve affrontare una ristrutturazione generale, specie di quei settori che producono troppo e che vivono solo grazie all’aiuto statale. Si tratta di mettere mano a interi settori e ridurre il numero delle grandi imprese di stato, nucleo di privilegi dei funzionari, già da tempo nel mirino della campagna anti corruzione del presidente Xi Jinping.
Si tratta di modificare il proprio impianto economico, ben sapendo che questa volta i lavoratori potrebbero essere ben più pericolosi, per il mantenimento della stabilità, rispetto a movimenti per i diritti civili o piccoli gruppi di dissidenti.
Parliamo infatti di milioni di persone, che convivono da tempo con la sensazione di essere la vittima sacrificale di uno sviluppo che deve diventare più qualitativo. Stipendi non pagati, spostamenti, licenziamenti: Pechino deve affrontare il rischio di uno scontro sociale che potrebbe creare non pochi problemi alla leadership.
Come riportato dai media stranieri, «mentre il congresso era in corso a Pechino, le proteste da parte dei lavoratori in una grande, miniera di carbone di proprietà dello Stato nella Cina nord-orientale hanno illustrato la resistenza che i contenimenti industriali potrebbero creare».
Le proteste della scorsa settimana – ha scritto il New York Times – hanno portato Lu Hao, il governatore della provincia dell’Heilongjiang, dove la miniera si trova, «a scusarsi per aver erroneamente affermato che tutte le persone che lavorano nei sotterranei della miniera, gestita da Longmay Mining Group, erano stati pagati in tempo».
Dalle manifestazioni, nella città di Shuangyashan, i funzionari hanno faticato a placare i lavoratori i cui i pagamenti dei salari erano scaduti mesi addietro. La Longmay ha detto a settembre che voleva eliminare 100.000 posti di lavoro entro la fine del 2015 in Shuangyashan e in altri miniere che avevano assunto troppi lavoratori.
Questi scossoni sociali avvengono proprio nei giorni durante i quali Pechino ha approvato il nuovo piano quinquennale (il 13° Piano Quinquennale, il primo formulato sotto Xi ha ottenuto 2.778 a favore, 53 contro e 25 astensioni).
La Cina è attesa dunque da tempi che potrebbero rivelarsi particolarmente duri. E nel Partito potrebbe tornare alla luce uno scontro tra conservatori e riformatori, nel momento in cui sarà necessario passare dalle parole ai fatti.
Li Keqiang ha detto chiaramente che l’obiettivo del governo è dare più spazio alle imprese private, a fronte di un taglio netto alle spese della burocrazia, a quelle generali, muovendosi per consentire nuove opportunità di investimento e di occupazione. Questa ricetta, ha detto, non avrebbe richiesto nessun compromesso duro tra crescita e regolamentazione (o ristrutturazione).
Ma un numero crescente di economisti dicono che la Cina presto dovrà fare delle scelte controverse in bilico tra la necessità di puntellare la propria economia e «scuotere le aziende statali i cui debiti e scarso rendimento stanno trascinando verso il basso la crescita».
I sostenitori della liberalizzazione economica hanno detto che i leader cinesi hanno fatto troppo poco per realizzare le promesse fatte nel 2013 per dare alla concorrenza sul mercato un «ruolo decisivo» per l’economia e che i piani delineati al congresso non hanno incluso i coraggiosi passi necessari per garantire una prosperità a lungo termine.
@simopieranni