La Cina si sta proiettando con forza in Medio Oriente: in concomitanza di una parziale ritirata degli Usa, dimostra l’ambizione di potersi sostituire a Washington come “potenza responsabile” e “garante di stabilità” anche tra Israele e Palestina
La Cina alza il tiro della sua ambizione diplomatica globale. Dopo aver favorito il riavvio dei rapporti tra Arabia Saudita e Iran, nonché essersi resa protagonista di un’iniziativa per provare a immaginare una soluzione politica per la guerra in Ucraina, tocca ora al fronte apparentemente più insolubile della scena mondiale: i rapporti tra Israele e Palestina. Il tutto in un momento nel quale la proiezione cinese in Medio Oriente si fa sempre più convinta.
Uno dei primi Paesi a riconoscere l’Olp
Martedì 13 giugno arriva infatti a Pechino Abu Mazen, il nome con cui è conosciuto a livello internazionale il presidente palestinese Mahmoud Abbas. Il viaggio dura fino a venerdì 16 giugno e prevede diversi incontri ad alto livello, su tutti quello col presidente Xi Jinping. “Abbas è un vecchio e buon amico del popolo cinese ed è il primo capo di stato arabo a essere ospitato in Cina quest’anno. Questo la dice lunga sulle relazioni amichevoli tra Cina e Palestina”, ha dichiarato in conferenza stampa il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin. La Repubblica Popolare Cinese è stata d’altronde uno dei primi paesi al mondo a riconoscere l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). Per 10 anni consecutivi, Xi ha inviato messaggi di congratulazioni allo speciale incontro commemorativo in occasione della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese. Più di una volta ha avanzato le proposte della Cina per risolvere la questione palestinese, sottolineando la necessità di portare avanti con determinazione una soluzione politica basata sulla soluzione dei due Stati.
La spinta cinese sull’argomento ha preso nuovo impulso in questi mesi, in concomitanza del lancio della Global Security Initiative, il piano pensato da Xi per promuovere sotto un ombrello programmatico le concezioni in politica estera del Partito comunista cinese. Sui media di Stato cinesi, emerge l’ambizione di Pechino di svolgere un ruolo speciale nel promuovere la de-escalation del conflitto tra Palestina e Israele, “in quanto è stata un partner affidabile della Palestina e ha anche mantenuto una stretta e pragmatica cooperazione con Israele”, scrive per esempio il Quotidiano del Popolo. “Comunicando con ciascuna delle parti attraverso colloqui bilaterali, la Cina potrebbe esplorare i modi per allentare le tensioni tra Palestina e Israele come primo passo”.
La Cina: potenza responsabile e garante di stabilità
Gli ultimi colloqui di pace diretti tra funzionari israeliani e palestinesi, mediati da Washington, si sono tenuti nel 2014. Da allora, la massiccia crescita degli insediamenti israeliani nella Cisgiordania occupata ha reso quasi impossibile una soluzione a due Stati. La Cina si sta proiettando con forza in Medio Oriente, in concomitanza di una parziale ritirata dell’influenza degli Usa, e sente che è giunto il momento di provare a dare la sensazione di potersi sostituire a Washington come “potenza responsabile” e “garante di stabilità”.
La visita di Abu Mazen dà nuovo impulso a questa ambizione. E non è un caso che l’invito arrivi in un momento nel quale Abu Mazen non è stato ancora invitato a incontrare Joe Biden. Ma resta a dir poco complicato immaginare sviluppi concreti. Anzi, come accaduto col recente viaggio tra Mosca, Kiev ed Europa dell’inviato speciale Li Hui, la sensazione di molti osservatori è che la visita del leader palestinese possa soprattutto servire a rafforzare le credenziali di Pechino sulla scena mondiale, piuttosto che un vero tentativo di rilanciare il processo di pace israelo-palestinese. Anche perché i rapporti tra Cina e Israele si sono fatti di recente meno caldi. Israele è diffidente nei confronti dei legami economici della Cina con l’Iran e i funzionari israeliani hanno detto apertamente a Pechino che il paese è strettamente allineato agli Stati Uniti in politica estera. Negli ultimi anni, la Cina ha ripetutamente criticato l’occupazione israeliana dei territori palestinesi e, in particolare, le operazioni militari nella Striscia di Gaza.
Relazioni sempre più strette con i Paesi Arabi
Il ricevimento di Abu Mazen potrà non portare a sviluppi concreti sulla risoluzione della questione israelo-palestinese, ma dà senz’altro un messaggio di disponibilità ai paesi arabi. Solo nei giorni scorsi sono stati firmati accordi per ben 10 miliardi di dollari nel corso della decima edizione della conferenza imprenditoriale Cina-Arabia Saudita, organizzata a Riad. Secondo il quotidiano saudita Saudi Gazette, gli accordi riguardano il settore tecnologico, immobiliare, turistico, sanitario, delle energie rinnovabili, dell’agricoltura, dei minerali e delle catene di approvvigionamento. Spicca la firma tra il gruppo saudita Ask e la China National Geological & Mining Corporation per lo sviluppo, il finanziamento, la costruzione e la gestione di un progetto di estrazione di rame nell’Arabian Shield. Lo scorso dicembre, Xi è stato a Riad per il Consiglio di Cooperazione del Golfo, portando a casa diversi accordi commerciali e diplomatici. E ha poi ricevuto a Pechino il presidente iraniano Ebrahim Raisi.
La Cina alza il tiro della sua ambizione diplomatica globale. Dopo aver favorito il riavvio dei rapporti tra Arabia Saudita e Iran, nonché essersi resa protagonista di un’iniziativa per provare a immaginare una soluzione politica per la guerra in Ucraina, tocca ora al fronte apparentemente più insolubile della scena mondiale: i rapporti tra Israele e Palestina. Il tutto in un momento nel quale la proiezione cinese in Medio Oriente si fa sempre più convinta.