L’incendio di un edificio ha scatenato una dura campagna contro l’abusivismo edilizio. Finiscono così per strada quei contadini inurbati che costituiscono la spina dorsale della “fabbrica del mondo”. Questa volta però si moltiplicano le voci dissenzienti
Nei giorni scorsi Xi Jinping ha rilanciato in grande stile la «rivoluzione delle toilette» per «rafforzare l’offerta turistica e migliorare la qualità della vita delle gente comune». La costruzione di bagni puliti è un passo importante per la «civilizzazione nelle aree urbane e in quelle rurali». I riferimenti alla «gente comune» e a chi è rimasto indietro nello sviluppo cinese costituiscono un classico della comunicazione populista di Xi Jinping. Peccato però che a Pechino nei giorni più freddi dell’inverno, che nella capitale tocca anche temperature molto rigide, migliaia di persone si ritrovano e si ritroveranno per strada a causa della campagna di quaranta giorni contro gli abusi edilizi.
Quaranta giorni – in realtà – per cacciare dalle loro case e dalla capitale più persone possibile. Potrebbero essere decine di migliaia i lavoratori migranti costretti ad abbandonare case o attività commerciali nella capitale pechinese.
Sicurezza abitati, lavoro e Pechino «città vetrina»
Partiamo dall’inizio: il problema della sicurezza dei luoghi dove vivono i migranti esiste da tempo. Già nel periodo precedente alle Olimpiadi, il partito aveva cercato di risolverlo e ha continuato a demolire zone considerate «non sicure» espellendo di fatto parte della popolazione dal centro della capitale.
I lavoratori migranti vivono per lo più in case di lamiera o abitazioni ricavate nei capannoni o in edifici industriali; spesso le condizioni igieniche e di sicurezza sono precarie, spesso si tratta di luoghi sovraffollati, ma costituiscono l’unica soluzione economicamente possibile. Queste sono le uniche sistemazioni che possono permettersi per la crescita degli affitti a Pechino che per il fatto di essere «migranti» e quindi avere diritti sociali solo nel luogo di provenienza, secondo il sistema cinese dell’hukou.
In più, chi è stato in Cina può averlo sicuramente notato, molti di questi lavoratori vivono da tempo nel proprio negozietto, nel caso siano commercianti: negozi ricavati da lamiere messe tempo fa alla meglio e che nel tempo si sono moltiplicati diventando un classico elemento di vita anche nelle zone più centrali della capitale.
I lavoratori migranti hanno fatto la storia della Cina, anche di quella più recente lanciata sugli scenari globali della «nuova era» di Xi Jinping. Se infatti negli anni delle Riforme sono stati la spina dorsale della «fabbrica del mondo», oggi sono loro la carne e le spalle della nuova Cina che sviluppa il mercato interno e l’e-commerce.
Come ha specificato il sociologo Sun Liping, riportato dal China Labour Bullettin «un tragico incendio non dovrebbe essere usato come scusa per sfrattare intere città in nome della sicurezza». Sun ha sostenuto che «la Cina sta attraversando un processo di rapida urbanizzazione, c’è un grande afflusso di migranti rurali nelle città» a causa di evidenti squilibri dello sviluppo cinese che hanno portato alla «concentrazione delle risorse in alcune città». Naturale dunque che le persone provenienti da aree rurali abbiano scelto di trasferirsi in piccole città e che le persone delle piccole città si si siano poi trasferite in città più grandi.
Il partito comunista da tempo prova a risolvere i problemi legati alle abitazioni insicure e illegali dei migranti attraverso sfratti improvvisi e senza preavviso e con l’uso della forza della polizia, come in questi giorni, unitamente al tentativo di sviluppare le piccole e medie città. Se infatti nella Cina di Deng Xiaoping la richiesta era quella di avere molti migranti dalle campagne alle città, oggi il governo sembra voler rimandare indietro, o quanto meno via da Pechino, queste fasce di popolazione. Pechino, infatti, così come Shanghai o altre grandi metropoli, dovranno costituire la vetrina buona della Cina che si mostra al mondo.
La città questa volta non ha assistito silente
Nella sua ultima decisione, quella di sfrattare con la forza e praticamente senza preavviso migliaia di persone, il governo cinese però non ha valutato la reazione di chi vive intorno a queste persone o di chi senza queste persone vedrebbe cambiata la propria vita. Oltre a questioni umanitarie, infatti, i lavoratori migranti sono tenuti in gran conto dalla classe media cittadina anche per i compiti che svolgono.
Un articolo pubblicato dal China Digital Times e poi rimosso (mentre in rete si trova moltissimo materiale anche in cinese di quanto sta accadendo a Pechino) ricordava alla classe media urbana che questi lavoratori «di fascia bassa» sono le stesse persone che «consegnano i loro acquisti online a velocità incredibilmente elevate», sono gli autisti che li accompagnano a casa ubriachi nel bel mezzo della notte; persone insomma che «lavorano duramente per guadagnarsi da vivere, proprio come chiunque altro, ma provengono da zone rurali e probabilmente possono permettersi solo di vivere in baracche scadenti».
E proprio la reazione di parte della cittadinanza pechinese e di parte dei media rende quest’ultima campagna contro il degrado e contro gli abusi edilizi meno «silenziosa» che in passato. In Cina siamo stati abituati ad assistere a ingiustizie senza che ci fossero denunce forti, se non all’interno di un ristretto giro di intellettuali o personaggi da tempo impegnati a scontrarsi contro il governo in modo quasi isolato.
Ieri anche i media, in modo insolito, non hanno appoggiato in toto la nuova campagna del governo. Come riportato da Caixin, importante rivista economica cinese, in un commento pubblicato su WeChat (la Whatsapp cinese) la China Central Television (Cctv) «ha affermato che mentre una tale campagna dovrebbe essere attuata con la forza, i funzionari dovrebbero anche dimostrare un certo grado di calore o compassione nei confronti delle comunità colpite».
Il commento sosteneva che, se è vero che i rischi per la sicurezza dovrebbero essere ridotti, analogamente si chiedeva: «come possono i migranti trovare rapidamente un altro rifugio sicuro e dove possono proteggersi dal gelo dell’inverno?».
Anche il China Daily, quotidiano cinese statale in lingua inglese, ha espresso preoccupazione per la «durezza» degli sfratti affermando che «gli immigrati rurali meritano rispetto».
Infine ieri in rete ha avuto una discreta diffusione un appello di intellettuali per chiedere al governo maggiore umanità, mentre molte persone, Ong e anche ristoratori e commercianti hanno provato ad aiutare materialmente le persone sfrattate.
Una dimostrazione di umanità importante – e quasi una speranza – in un Paese lanciato sempre di più verso un progresso che non prevede nel proprio immaginario chi non può essere un consumatore delle sue scintillanti città vetrina.
@simopieranni
L’incendio di un edificio ha scatenato una dura campagna contro l’abusivismo edilizio. Finiscono così per strada quei contadini inurbati che costituiscono la spina dorsale della “fabbrica del mondo”. Questa volta però si moltiplicano le voci dissenzienti