Noto come “il Kissinger cinese”, il professor Wang è il teorico che negli ultimi 30 anni ha influenzato maggiormente la leadership a Pechino, da Jiang Zemin a Hu Jintao. Si dice sia uno degli artefici del «sogno cinese» di Xi. Ora è uno dei sette uomini più potenti del Paese
Volto oscuro per l’Occidente, Wang Huning in realtà gode di una certa popolarità tra i «China watchers»: nato a Shanghai nel 1955, figlio di un quadro del partito comunista, ha vissuto la rivoluzione culturale e la caduta politica del padre leggendo e studiando. Si dice sia introverso e pare sia stato molto recalcitrante, dopo anni di pubblicazioni universitarie, ad accettare a 40 anni il trasferimento a Pechino. Per lui il suo destino doveva essere una vita da studioso e professore.
Ha scritto libri di scienza politica iniziando sue pubblicazioni concentrandosi in particolare sul tema della sovranità. Come hanno raccontato Haig Patapan e Yi Wang in un articolo sul Journal of Contemporary China il 21 agosto del 2017 dal titolo «The Hidden Ruler: Wang Huning and the Making of Contemporary China» – sintomo che il nome di Wang Huning è oggetto di attenzione dal mondo accademico che si occupa di Cina da tempo – «il tema della tesi di Wang è stato il concetto di sovranità. Mentre la sua tesi non è pubblicamente disponibile, è possibile trarre qualche indizio dal contenuto del suo primo libro «Stato e Sovranità Nazionale» (Guojia Zhuquan). Il libro inizia con la sottolineatura dell’importanza della sovranità come concetto chiave nella scienza politica e ne traccia origine ed evoluzione del concetto».
Dopo questo libro pubblica quello che è considerata la sua opera più importante, «Analisi comparativa politica» nella quale adotta «una prospettiva storico-sociale-culturale come base del suo approccio analitico». Da un lato cerca di esplorare le strutture e gli schemi della politica contemporanea attraverso una revisione storica delle vicende dell’umanità dall’antichità all’epoca moderna. Dall’altra «cerca di scoprire una certa regolarità dei rapporti politici, attraversando l’ampiezza delle attività politiche nel mondo attuale».
Alla corte di Jiang Zemin
Wang è dunque uno scienziato della politica – le cui pubblicazioni cominciano a girare e ad arrivare sulle scrivanie giuste – che nel 1986, grazie all’articolo «Analisi sui metodi della leadership politica durante il processo di modernizzazione» giunge all’attenzione di Jiang Zemin, allora numero uno del Paese. Siamo nella Cina che affronta i cambiamenti dovuti alle Riforme volute da Deng. Wang Huning si pone come intellettuale in grado di indicare al partito alcune scelte su come gestire quei cambiamenti, in particolare per quanto riguarda il rapporto tra centro e periferia.
Pur essendo stato etichettato come teorico «neo- autoritario» pare che Wang abbia sempre rifiutato questa caratterizzazione: si considera un liberale che ritiene necessario accompagnare le riforme con un controllo centrale dello stato per assicurare una stabilità, in grado con il tempo di garantire maggiori diritti politici. La sua idea è che un governo centralizzato possa guidare il processo di aperture e di riforme, garantendo stabilità sociale ed espandendo via via le libertà democratiche.
«La formazione di istituzioni democratiche – come ha scritto in un articolo del 1993 intitolato «Requisiti politici per l’economia del mercato socialista» ricordato nei giorni scorsi da Jude Blanchette del China Center for Economics and Business – richiede l’esistenza di condizioni storiche, sociali e culturali specifiche». Finché non ci sono lo stato deve agire per rafforzare la sua centralità e sviluppare le condizioni affinché il processo possa diventare reale.
Una carriera nel Partito: da «teorico»
Nello stesso tempo osserva in modo chiaro e senza remore i cambiamenti che affronta la Cina. Chiamato a Pechino cessa del tutto le pubblicazioni accademiche. La sua carriera non è niente male: dapprima è a capo del Central Policy Research Office, il principale think tank del paese, poi assurge al Politburo e infine, nei giorni scorsi, nel Comitato permanente del Politburo, l’organo politico più importante del paese.
Con Jiang Zemin – Wang era già stato notato e proposto al Presidente da uomini considerati all’interno della «cricca di Shanghai» di cui Jiang era il boss – pare abbia partecipato attivamente alla stesura della teoria delle «tre rappresentatività», il metodo con il quale il partito ha preso sostanzialmente atto del cambiamento sociale in corso in Cina e la necessità di tenere dentro al partito altre forze «produttive» che non fossero solo contadini e operai. Per molti detrattori, significherà l’inizio della vita di un partito sempre più sganciato dalla realtà e teatro di impunità e scandali, tanto che solo oggi si ritiene che Xi Jinping abbia cambiato l’immagine del Pcc nel cuore della popolazione cinese.
Il suo ruolo da «consigliere» e secondo alcuni da «Kissinger cinese» (la ex moglie è una esperta di relazioni Usa-Cina all’università Tsinghua di Pechino) prosegue con Hu Jintao. A guardare la sua produzione accademica, in effetti, non stupisce possa essere stato artefice di quella teoria sullo sviluppo scientifico del socialismo cinese tutto concentrato sul raggiungimento dell’«armonia» condizione essenziale perché si possa mantenere la stabilità e procedere all’allargamento del benessere e con esso di eventuali libertà democratiche.
Wang ha teorie perfette per Xi Jinping
Questa imposizione, liberale ma volutamente accentatrice, sembra un vestito perfetto anche per il leader che segue Hu Jintao, ovvero Xi Jinping. Wang Huning lavora anche con lui. Secondo alcuni analisti Xi Jinping ha usato questi cinque anni per puntellare il proprio potere e preparare il terreno a riforme importanti. Questa visione ritiene che Xi sia un riformatore, un liberale. Anche in questo caso, seppure nel campo di supposizioni, avremmo una perfetta sintonia tra il teorico e il leader: non a caso anche nella stesura del pensiero di Xi legato al concetto di «sogno cinese» Wang Huning avrebbe inciso e non poco.
Non solo perché nel 2012 nella quinta edizione di un articolo scritto nel 1986 si leggeva che «È molto importante rispettare la costituzione. Se i cittadini possono essere portati via senza rispettare la legge e la costituzione, o addirittura usando minacce violente la rivoluzione culturale potrebbe ripetersi».
In questa frase abbiamo due aspetti fondamentali dell’attuale leadership di Xi: la lotta alla corruzione (altro tema su cui Wang si è prodigato), il concetto cinese di «rule by law» e il rischio di caos nel caso in cui il Partito non sappia dosare il proprio potere: non a caso dopo aver abolito i campi di lavoro, Xi Jinping starebbe pensando anche di abolire (o per meglio dire cambiare la forma) delle detenzioni arbitrarie che spesso avvengono in Cina.
Potremmo essere dunque ottimisti circa il futuro delle istituzioni in Cina con la presenza di Wang tra i sette più potenti? Può essere ma dipenderà da quale dei suoi principali temi trattati nel corso della sua vita verrà data rilevanza. Sarà il capo della propaganda: vedremo se spingerà più sul controllo e l’accentramento del potere per garantire stabilità o su quei processi che dovrebbero garantire istituzioni sempre più trasparenti.
Di sicuro la sua presenza nel Comitato permanente costituisce una importante novità e un motivo in più per seguire con attenzione questo nuovo quinquennio targato Xi (e in ombra, Wang Huning).
@simopieranni
Noto come “il Kissinger cinese”, il professor Wang è il teorico che negli ultimi 30 anni ha influenzato maggiormente la leadership a Pechino, da Jiang Zemin a Hu Jintao. Si dice sia uno degli artefici del «sogno cinese» di Xi. Ora è uno dei sette uomini più potenti del Paese