A inizio gennaio, un’azione americana in Siria, avrebbe portato all’uccisione di cento componenti di al Qaeda, raccolti nella formazione Jabhat Fateh al Sham, già al Nusra. Tra di loro sarebbe stato ucciso anche Abu Omar al Turkistani, considerato il leader del Turkistan Islamic Party, formazione che Pechino considera terroristica. Questo evento ha nuovamente destato l’attenzione della Cina nei confronti della Siria.
Secondo un articolo pubblicato di recente da The Diplomat, importante fonte per chi si occupa di Asia, questo evento avrebbe riportato la Cina a concentrarsi sulla questione siriana.
L’azione americana infatti avrebbe portato all’uccisione oltre che del leader del Tip, anche a quella di militanti islamisti uighuri, temuti da Pechino che da tempo denuncia la loro presenza tra le formazioni jihadiste in Siria, impegnate a combattere contro Bashar al Asad.
La Cina, diplomaticamente, si è sempre schierata al fianco del governo di Damasco, appoggiando ogni azione russa e iraniana, anche in sede internazionale. Pechino da tempo spinge per evidenziare la presenza di migliaia di uighuri tra i foreign fighters, benché secondo stime più recenti siano considerato non più di un centinaio.
Gli uighuri, di religione musulmana, da tempo costituiscono una spina nel fianco di Pechino a causa della loro attività autonomista nella regione nord occidentale cinese dello Xinjiang. Sunniti, grazie anche alle porosità delle frontiere con Heartland, sono andati a combattere in supporto del nascente stato islamico.
Non solo perché negli ultimi anni alcune azioni degli uighuri sono state effettuate anche a Pechino, quando un’auto si lanciò su persone di fronte alla Città proibita e in altre regioni cinesi. Di recente alcuni attentati in Xinjiang sono stati denunciati da Pechino; in alcuni casi la risposta delle forze di polizia cinesi è stato immediato. In generale, poi, nella regione proseguono investimenti e spostamenti di popolazioni han, per favorire lo sviluppo economico nella regione, nel tentativo di contrastare gli istinti autonomisti con un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione locale. Nonostante questo, però, in Xinjiang la popolazione locale a maggioranza musulmana, denunci soprusi e trattamenti differenti da parte delle istituzioni nei confronti della popolazione han, vista come “privilegiata”.
La paura per Pechino, infatti, è che i jihadisti uighuri, al termine della loro esperienza sul campo in Siria, possano tornare in Cina e attuare tecniche terroristiche anche sul territorio cinese, nonostante il grande controllo che il governo pechinese esercita nella regione, talvolta completamente sigillata e chiusa a ogni tipo di interferenza esterna.
Anche per questi motivi la Cina ha inviato da tempo un proprio inviato in Siria: come già scritto su questo blog tra Damasco e Pechino si è stabilita una collaborazione in termini di training del personale militare di Damasco.
Sullo sfondo c’è il tentativo cinese di avvicinarsi a un mondo, quello medio orientale, che a Pechino serve soprattutto per disturbare la politica americana, un po’ come gli Usa fanno con la Cina nelle zone del mar cinese meridionale.
Ma non solo, perché la Cina avrebbe stretto accordi tanto con Mosca, quanto con Damasco per non mandare solo personale “formativo”: l’intenzione di Pechino è quella di radere al suolo in Siria il pericolo legato al Tip.
C’è da chiedersi se l’elezione di Trump finirà per cambiare qualcosa in questa strategia: secondo alcuni analisti l’arrivo alla Casa Bianca di Trump e la sua volontà di “distruggere” l’Isis, potrebbe invece avvicinare, per una volta, Stati Uniti e Cina sul terreno siriano.