Le manovre di accerchiamento e i pattugliamenti speciali sono durati tre giorni con aerei, navi da guerra e nessuna conseguenza rilevante. Un’operazione meno imponente rispetto a quella dello scorso agosto. Xi Jinping non vuole compromettere i suoi successi diplomatici e il riavvicinamento con l’Europa.
Alla fine è successo. La Cina ha lanciato nuove esercitazioni militari intorno a Taiwan. Quasi 48 ore di silenzio, dopo l’incontro in California fra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker del Congresso degli Stati Uniti, Kevin McCarthy. Poi, appena ripartito da Pechino il Presidente francese Emmanuel Macron, i motori di jet e navi da guerra dell’Esercito popolare di liberazione sono tornati a rombare. Eppure non è stato tutto come lo scorso agosto, dopo la visita a Taipei di Nancy Pelosi. Né il prima, né il durante. Il livello di retorica ultranazionalista sui media di Stato e social cinesi è stata molto meno aggressiva rispetto ad agosto 2022. Soprattutto, stavolta si è concentrata soprattutto sulla figura di Tsai o comunque del Partito progressista democratico (DPP). Contestualmente, è stato invece più volte citato il Kuomintang (KMT) come entità politica dialogante. A contribuire alla divisione, la storica visita in Cina continentale dell’ex Presidente Ma Ying-jeou.
Anche sul fronte militare sono numerose le differenze da quanto accaduto post Pelosi. Primo: la durata. Allora le esercitazioni erano durate 7 giorni, anche se inizialmente dovevano durare 4. Questa volta è stato invece mantenuto il termine annunciato di 3 giorni. Secondo: l’impatto concreto. A differenza della scorsa estate, nessuna conseguenza rilevante segnalata per le navigazioni commerciali e i voli di linea. Terzo: l’estensione delle operazioni, che stavolta è apparsa minore. Nell’ultimo giorno di test si è segnalato il numero più alto di incursioni di jet oltre la “linea mediana”, confine non ufficiale e non riconosciuto ma ampiamente rispettato sino all’anno scorso: 56 jet. Ad agosto, nel solo secondo giorno si erano registrati 68 aerei e anche 13 navi da guerra oltre la linea mediana. Comunque mai, almeno finora, entro le 12 miglia nautiche delle acque territoriali. Una ventina di imbarcazioni delle due marine si sono confrontate in concomitanza delle 24 miglia nautiche che segnano l’ingresso nelle acque contigue, ma senza atti provocatori.
A Taipei la vita è proseguita come sempre, con ancora maggiore tranquillità rispetto allo scorso agosto. Questo anche per il mancato lancio di missili. Lo scorso agosto c’erano state diverse polemiche sul governo per l’assenza di allarme in concomitanza del loro passaggio sullo Stretto. L’avviso era infatti arrivato dalle autorità giapponesi e non da quelle taiwanesi.
Fatto salvo tutto questo, c’è però da segnalare come vera novità l’impiego nei test della portaerei Shandong, che nei giorni scorsi è stata per la prima volta dislocata nel Pacifico orientale. Da qui è servita come trampolino per i test che hanno simulato attacchi contro “obiettivi chiave” sull’isola, nonché un parziale blocco navale sulla costa orientale. Un avviso anche o forse soprattutto agli Stati Uniti, visto che proprio quella sarebbe l’unica strada possibile per fornire aiuti a Taiwan dall’esterno.
Altra novità: la mobilitazione di aerei da combattimento da parte del Giappone in risposta alle manovre di Pechino, giunte in un’area compresa tra 230 e 430 chilometri a sud dell’isola giapponese di Miyako, a sud ovest Okinawa e a poca distanza dall’isola principale di Taiwan.
Insomma, la reazione di Xi Jinping è stata sì muscolare ma più circoscritta e meno imponente di quella dello scorso agosto. Hanno influito una serie di componenti. La prima, intrastretto: a gennaio 2024 ci sono le elezioni presidenziali taiwanesi e il leader cinese sa che mostrando troppo i muscoli rischia di aiutare il DPP, che si presenterà peraltro al voto con William Lai, attuale vicepresidente e figura più radicale di Tsai. La seconda, contingente: l’incontro fra Tsai e McCarthy è stato un parziale compromesso di Taipei e Washington, perché un incontro sull’isola sarebbe stato percepito come maggiormente provocatorio. Rispondere con un’ulteriore escalation avrebbe dato il messaggio che non serve a nulla provare a tenere un profilo più basso. La terza, globale: Xi sta proiettando un’immagine di grande stabilizzatore negli ultimi tempi. Dal rilancio dei rapporti tra Iran e Arabia Saudita favorito da Pechino alla manovra sulla guerra in Ucraina, il leader cinese non vuole compromettere la sua ampia manovra diplomatica e il riavvicinamento con l’Europa. I primi risultati li ha ottenuti con Macron, che dopo essere tornato a Parigi ha chiesto all’Europa di non diventare un “vassallo” degli Stati Uniti. Musica per le orecchie di Xi.