I leader ciprioti s’incontrano domani a nove mesi dal collasso dei colloqui. Ma l’irrigidimento nazionalista a nord come a sud, e le nuove tensioni legate ai giacimenti di gas contesi non promettono nulla di buono. E la partizione formale dell’isola ormai non è più un tabù
Lunedi sera le Cipro ricominceranno a parlare. Dopo un lungo silenzio durato quasi nove mesi, il presidente Nikos Anastasiades e il suo omologo di fatto, Mustafa Akinci, leader della Repubblica secessionista del nord si incontreranno a cena, per una visita informale presso la residenza di Elizabeth Spehar, capo di Unficyp la missione di peacekeeping stanziata sull’isola dal 1960.
Non si vede all’orizzonte un calendario per il riavvio dei colloqui, collassati la scorsa estate a Crans-Montana, in Svizzera, sotto la pressione dei veti incrociati ma il tentativo di riavvicinamento è certamente un fatto positivo. Anche se il quadro politico si è complicato per i fautori di una soluzione alla più lunga disputa territoriale in Europa dal dopoguerra: il gas nel Mediterraneo, la “erdoganizzazione” del nord, le tensioni tra Ue e Ankara, il nazionalismo greco, di basso profilo ma molto radicato nella popolazione a sud della “Green Line”, sono fattori che hanno ridimensionato l’ottimismo del 2015, seguito all’elezione di Mustafa Akinci a presidente del nord.
La luna di miele tra i due leader è durata ben poco e i negoziati sono stati influenzati negativamente dalla situazione internazionale nella regione: ufficialmente i colloqui sono collassati a causa dell’intransigenza turca nel voler mantenere dei contingenti militari a protezione della sua minoranza sull’isola ma la retorica nazionalista del greca, che agita l’enosis, l’unificazione con la madrepatria, ha seguito al sud.
I leader ciprioti s’incontrano domani a nove mesi dal collasso dei colloqui. Ma l’irrigidimento nazionalista a nord come a sud, e le nuove tensioni legate ai giacimenti di gas contesi non promettono nulla di buono. E la partizione formale dell’isola ormai non è più un tabù
Se ufficialmente la Grecia e il Regno Unito si dicono disposte ad un passo indietro, la Turchia di ritirare i circa 50mila soldati stanziati a nord della buffer zone, non ci pensa proprio. Soprattutto ora che i giacimenti di gas nel sud est del Mediterraneo, da propulsore per una soluzione alla questione cipriota sono diventati nuova fonte di tensioni. D’altronde dopo l’ennesimo stop ai negoziati, Anastasiades ha deciso comnunque di proseguire, firmando contratti di esplorazione con le compagnie petrolifere di mezzo mondo, Eni inclusa e facendo infuriare il nord e la Turchia, tagliati fuori.
Questa mossa unilaterale del presidente cipriota è stata obbligata: nell’isola delle questioni irrisolte, l’accusa di sacrificare gli interessi dei greci al tavolo delle trattative, mossa soprattutto dai deputati di Elam, la filiale cipriota di Alba Dorata, ha rischiato di costargli caro alle presidenziali dello scorso gennaio. Ora, agguantata la rielezione Anastasiades può ricominciare a guardare avanti, ha detto in una recente intervista con Al Jazeera.
Ma la strada appare tutta in salita: quando i colloqui collassarono la scorsa estate, il ministro degli esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu, dichiarò conclusa – per la loro parte – l’esperienza dei buoni uffici Onu. Come se non bastasse, alle elezioni politiche di gennaio a nord ha vinto una maggioranza anti-unificazione.
Intanto, il 23 aprile, marcherà il 15esimo anniversario dalla riapertura del valico di Ledra Palace, a Nicosia: per la prima volta dai fatti del ’74, greco e turco ciprioti ebbero l’opportunità di muoversi liberamente da un lato all’altro dell’isola. La mossa fu adottata per favorire il processo di riunificazione in tempo per l’ingresso nell’Ue, avvenuto poi nel 2004. Alla fine Cipro entrò divisa e 15 anni dopo, la formalizzazione dello status quo e la partizione dell’isola, soprattutto a sud, non sembrano più argomenti tabù.
@msfregola
I leader ciprioti s’incontrano domani a nove mesi dal collasso dei colloqui. Ma l’irrigidimento nazionalista a nord come a sud, e le nuove tensioni legate ai giacimenti di gas contesi non promettono nulla di buono. E la partizione formale dell’isola ormai non è più un tabù