La comunicazione gioca un ruolo fondamentale nella percezione della gravità della sfida climatica e della credibilità delle politiche adottate. Cruciali sono anche i meccanismi di verifica e la riduzione dei tempi di applicazione delle decisioni.
Per metà dello scorso anno, le temperature sulla Terra hanno superato di oltre un grado e mezzo quelle che si osservavano nell’epoca preindustriale. Secondo dati del Servizio Europeo sul Cambiamento Climatico (C3S) presentati nel gennaio scorso, il termometro del pianeta ha registrato nella media dell’anno un’ascesa di 1,48 gradi C, un livello molto prossimo a quell’incremento dell’1,5 considerato nel 2015 dai governi di tutto il mondo il valore di soglia massimo sostenibile. Il cambiamento climatico, assieme all’arrivo del fenomeno El Niño, starebbe dietro questo aumento termico: il 2023 si è infatti chiuso con una crescita della concentrazione nell’atmosfera dei gas serra, considerati i principali responsabili del riscaldamento globale.
Gli effetti dell’emissione di combustibili fossili si potrebbero addirittura osservare sul pelo dei bisonti. Uno studio di un gruppo di scienziati polacchi, condotto in oltre un decennio nel bosco di Bialowieza in Polonia, (pubblicato sul Global Change Biology), alla ricerca di peli di animali autoctoni, ha dimostrato come il pelo dei bisonti sia cambiato negli ultimi settant’anni, modificandone le proporzioni di carbonio e di azoto. Ossia, l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera, incorporato nella vegetazione del bosco, sarebbe passato agli animali al momento di nutrirsi.
Dal 1995, i governi del mondo si riuniscono ogni anno per discutere del clima, concordando obiettivi e politiche da applicare. L’ultima conferenza mondiale, la Cop 28, celebrata nel 2023 a Dubai, ha concluso i suoi lavori indicando la transizione come processo per passare da un mondo di combustibili fossili a un mondo liberato da questi e realizzare così l’obiettivo di zero emissioni nette nel 2050. Queste conferenze annue sono non vincolanti ma piene di buoni propositi, a volte inadeguati ad affrontare l’emergenza. E quando siano efficaci resta da vedere quanto realmente incidano sui comportamenti dei governanti, dal momento che per raggiungere l’obiettivo di riduzione di circa la metà delle emissioni in questo decennio, le emissioni di gas serra sarebbero dovute diminuire lo scorso anno del 5% e invece sono aumentate. E quanto le loro conclusioni appaiano credibili agli occhi della popolazione, quella più giovane soprattutto, protagonista negli ultimi anni di un movimento generale per la salvaguardia del pianeta.
Le emissioni di gas serra in Europa
Due studi realizzati in Europa, il primo in Norvegia dell’Istituto di ricerca sul Clima Cicero, il secondo elaborato dall’Università di Exeter nel Regno Unito, “Global Carbon Budget 2023”, pubblicati alla fine dello scorso anno, hanno evidenziato per il 2023 un aumento delle emissioni globali di anidride carbonica attorno all’1% rispetto al 2022, con valori assoluti di crescita compresi tra i 36 e i 41 miliardi di tonnellate. Lo studio britannico attribuisce l’1,1% di aumento complessivo delle emissioni di CO2 al petrolio (+1,5%), al carbone (+1,1%) e al gas naturale (+0,5%). In particolare, Cina e India hanno aumentato le loro emissioni (+4% e +8,2% rispettivamente); mentre Stati Uniti e Unione Europea ne avrebbero ridotto il volume, nell’ordine, del 3% e del 7,4%.
Secondo dati Eurostat, la Spagna è stato il paese europeo in cui più è cresciuto il Pil tra quelli che hanno ridotto la contaminazione. Lo studio dell’Osservatorio spagnolo sulla Sostenibilità (“Evolución de las emisiones de gases de efecto invernadero en España”) segnala come le emissioni di gas serra nel 2023 siano diminuite di oltre il 5% rispetto all’anno precedente, una riduzione dovuta all’aumento dell’energia idraulica e delle energie rinnovabili, specie quella voltaica. E per la prima volta in un decennio Barcellona, lo scorso anno, ha ridotto i livelli di contaminazione entro i limiti stabiliti dall’Unione Europea, grazie soprattutto all’istituzione della Zona di Basse Emissioni voluta dall’ex sindaca Ada Colau.
In Italia, secondo un’analisi dell’Enea sul primo semestre dello scorso anno, si sarebbe avuta una diminuzione delle emissioni di anidride carbonica pari al 9%, dovuta a una riduzione dei consumi energetici, mentre le rinnovabili sarebbero cresciute nel periodo del 20%. In Germania, le emissioni di CO2 si sono fermate a 673 milioni di tonnellate nel 2023, 73 milioni in meno rispetto all’anno precedente, il 46% in meno rispetto al 1990, il livello più basso dagli anni Cinquanta. Una riduzione che sarebbe però dovuta più a fattori contingenti che all’adozione di politiche di tutela del clima.
Ruolo dell’Europa nella lotta al cambio climatico
Nel 2021, il parlamento europeo ha approvato la Legge Ue sul Clima, che porta l’obiettivo di riduzione delle emissioni nette dei gas serra dal 40% al 55% entro il 2030, rendendo vincolante il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. La legge fa parte del cosiddetto Green Deal europeo su cui spicca il pacchetto legislativo “Pronti per il 55%”. Le misure che la Ue sta adottando, riguardano il sistema di scambio di quote di emissione per il settore industriale, il taglio delle emissioni dei trasporti pubblici e privati, la riduzione delle emissioni del settore energetico, l’aumento delle energie rinnovabili, la gestione delle foreste e la riduzione dei gas serra oltre la CO2.
La ministra spagnola per la Transizione Ecologica Teresa Ribera, avendo la Spagna la presidenza del Consiglio europeo, ha rappresentato la Ue nell’ultima conferenza mondiale sul clima, a Dubai. In questo ruolo, Ribera è stata una dei protagonisti dell’accordo finale che parla di “transitare lasciando indietro i combustibili fossili nei sistemi energetici”, così “da raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette nel 2050”. La Ministra si è dichiarata molto soddisfatta di questo risultato, perché segnala direttamente i combustibili fossili come responsabili delle emissioni che si vogliono ridurre e indica la strada da percorrere nei prossimi anni. Diverse associazioni ambientaliste, invece, hanno denunciato la mancanza di ambizione dell’accordo.
La storia delle COP
La Conferenza delle Parti sul clima, conosciuta con l’acronimo Cop, è l’organo che si riunisce ogni anno dal 1995, a parte quello della pandemia, per assumere le decisioni opportune in applicazione della Convenzione. La prima riunione si celebrò a Berlino, preceduta da un vertice tenutosi a Rio de Janeiro in Brasile nel 1992, il cosiddetto Summit sulla Terra. L’obiettivo di questa prima riunione era quello di prendere degli impegni per stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera a un livello sufficientemente basso per evitare un’emergenza climatica. Si creò la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la Unfccc, sulla base della quale ci si impegna a organizzare annualmente una conferenza per decidere le misure da adottare contro il riscaldamento globale.
Ripercorrendo la storia delle Cop, gli appuntamenti più importanti sono quelli celebrati nel 1997, nel 2015, nel 2018 e nel 2022. Le Conferenze del 1997 e del 2015 sono quelle che costituiscono il nocciolo fondamentale dell’iniziativa multilaterale in difesa del clima. A Kyoto, nella Cop 3 del 1997, viene adottato l’omonimo Protocollo, in cui per la prima volta è imposta la riduzione di emissioni di CO2 nell’atmosfera per i paesi più industrializzati, che sono i più responsabili della situazione, pari al 5% in media nel periodo 2008-2012 rispetto agli anni Novanta. Il problema è che la sua entrata in vigore ha richiesto sette anni, rendendone obsolete le indicazioni.
Nella Cop 21 del 2015, si approva l’Accordo di Parigi, dal nome della città ospite. I 196 paesi convenuti decidono che la temperatura media globale dovrà crescere ben al di sotto dei 2 gradi. E’ a Katowice, nel 2018, nella Cop 24, quando il mondo assiste alla nascita ufficiale di Fridays for Future, il movimento della giovane generazione per la difesa del pianeta, la cui leader più visibile è l’adolescente svedese Greta Thunberg. In questo stesso anno è pubblicato il rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici formato da scienziati e climatologi, che indica il cammino da intraprendere per non superare il grado e mezzo di crescita del riscaldamento nel pianeta.
Nella Cop 27 del 2022, a Sharm el-Sheik, si crea il fondo “loss and damage” per cui finalmente i paesi industrializzati dovranno riparare i danni subiti dai paesi in via di sviluppo più colpiti dal cambio climatico, ma meno responsabili. Questo fondo viene definitivamente messo in funzione nella Conferenza dello scorso anno, con un ammontare di 700 milioni di dollari.
La comunicazione sul cambio climatico
La comunicazione gioca un ruolo fondamentale nella percezione della gravità della sfida climatica e della credibilità delle politiche adottate. La scelta dei termini conta, perciò nel 2018, il quotidiano britannico The Guardian consiglia ai propri giornalisti di parlare di “crisi” o “emergenza climatica”, piuttosto che di “cambiamento climatico”. Le Nazioni Unite raccomandano di usare un’informazione scientifica accreditata, comprovando le fonti, evitando informazioni erronee e avendo attenzione al cosiddetto greenwashing. Suggeriscono anche di trasmettere il problema assieme alle soluzioni, ossia di spiegarne le dimensioni veicolando però al contempo un messaggio di speranza.
La comunicazione delle Cop vive più o meno sempre lo stesso schema: le conferenze non si concludono mai entro i tempi stabiliti e già il solo raggiungimento di un accordo appare come un risultato al di là del merito. Le decisioni adottate dalle Cop non sono vincolanti e spesso entrano in vigore quando già sono superate. Gli interessi coinvolti sono elevati e può darsi che, fare una Cop per il superamento dei combustibili fossili in uno dei paesi tra i principali produttori di petrolio al mondo, come lo scorso anno, non aiuti a rafforzarne la credibilità. Ma il metodo multilaterale proposto dal sistema Cop sembra ancora quello più valido, per quanto ne andrebbero almeno potenziati i meccanismi di verifica e ridotti drasticamente i tempi di applicazione delle decisioni.
Per metà dello scorso anno, le temperature sulla Terra hanno superato di oltre un grado e mezzo quelle che si osservavano nell’epoca preindustriale. Secondo dati del Servizio Europeo sul Cambiamento Climatico (C3S) presentati nel gennaio scorso, il termometro del pianeta ha registrato nella media dell’anno un’ascesa di 1,48 gradi C, un livello molto prossimo a quell’incremento dell’1,5 considerato nel 2015 dai governi di tutto il mondo il valore di soglia massimo sostenibile. Il cambiamento climatico, assieme all’arrivo del fenomeno El Niño, starebbe dietro questo aumento termico: il 2023 si è infatti chiuso con una crescita della concentrazione nell’atmosfera dei gas serra, considerati i principali responsabili del riscaldamento globale.
Gli effetti dell’emissione di combustibili fossili si potrebbero addirittura osservare sul pelo dei bisonti. Uno studio di un gruppo di scienziati polacchi, condotto in oltre un decennio nel bosco di Bialowieza in Polonia, (pubblicato sul Global Change Biology), alla ricerca di peli di animali autoctoni, ha dimostrato come il pelo dei bisonti sia cambiato negli ultimi settant’anni, modificandone le proporzioni di carbonio e di azoto. Ossia, l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera, incorporato nella vegetazione del bosco, sarebbe passato agli animali al momento di nutrirsi.