La “via colombiana all’economia verde” continua ad attirare l’attenzione internazionale. La strada è in salita, ma non è escluso che Petro decida di dare una svolta radicale al proprio progetto di abbandonare i combustibili fossili e di portarlo a compimento
Quando Gustavo Petro, il primo presidente di sinistra della storia della Colombia, ha assunto il potere nell’agosto 2022, la maggior parte degli analisti in America Latina si chiedevano quanto del suo ambizioso programma sarebbe stato in grado di portare avanti. La amplissima coalizione che lo ha supportato ha adottato lo slogan “Colombia potenza della vita”, che propone misure radicali per i principali problemi che affliggono il Paese da sempre: la guerra interna, il narcotraffico, il paramilitarismo, la povertà. In alcuni di questi aspetti il governo sta avanzando, alcune riforme presentate in Parlamento hanno riscosso consenso, e processi di negoziazione sono avviati con i gruppi guerriglieri, primo su tutti l’Esercito di Liberazione Nazionale con cui l’esecutivo sta lavorando a un accordo di pace tra Caracas e L’Avana.
Ma lo zelo del governo Petro per combattere il cambiamento climatico si è sicuramente accaparrato i riflettori a livello internazionale. Un po’ perché lo stesso Presidente ha scelto i summit globali per dare slancio alla propria politica ambientale, quali i pulpiti dell’Onu o del World Economic Forum di Davos. E un po’ per la radicalità della proposta: lasciare le ingenti riserve di petrolio, carbone e gas della Colombia sottoterra per evitare “l’estinzione dell’umanità”. E l’idea va ben oltre gli slogan. Nell’ottobre 2022, la Ministra delle miniere Irene Valdez ha annunciato che il Paese non avrebbe più firmato contratti di esplorazione ed estrazione di nuovi giacimenti di petrolio sul proprio territorio. Una vera e propria bomba per un paese che nel 2021 ha esportato greggio per 12 miliardi di dollari, è il 18° esportatore al mondo di petrolio e in cui la filiera degli idrocarburi rappresenta il 40% dell’export totale. La statale Ecopetrol, principale azienda petrolifera del Paese, garantisce oggi il 9% degli ingressi fiscali al governo colombiano. La svolta annunciata ha dunque importanti ricadute sulla stabilità economica del Paese.
Colombia, potenza della vita
A confermare la direzione ufficiale in materia energetica ci ha pensato lo stesso Petro: il cammino è la decarbonizzazione totale dell’economia, l’abbandono dei combustibili fossili e l’implementazione di una matrice energetica più pulita. Il Senato ha già approvato la proposta di legge presentata dall’esecutivo per vietare la pratica del fracking, ed è stato rilanciato il Fondo per lo sfruttamento delle Energie Non Convenzionali e la Gestione Efficiente dell’Energia creato nel 2014 dal governo di Juan Manuel Santos.
La polemica è però molto accesa. Secondo gli ultimi studi del Ministero delle miniere, tenendo in conto i 117 contratti di estrazione attivi attualmente, la Colombia possiede riserve di petrolio sufficienti a mantenere l’attuale livello di produzione per altri 7 anni e mezzo, e di gas per 7 anni e 4 mesi circa. Fonti ufficiali assicurano che questo periodo potrebbe estendersi di diversi mesi se si applicano tecniche per lo svuotamento totale dei pozzi in uso, e se si approfitta al meglio dei giacimenti di gas già esplorati ma non attivi che la Colombia possiede nel Mar dei Caraibi. Eppure, anche le previsioni più ottimistiche mettono in dubbio che il Paese riesca a modificare completamente la propria matrice energetica prima dell’esaurimento delle riserve di gas e petrolio attualmente in uso.
Secondo uno studio dell’Università Jorge Tadeo Lozano, esistono le premesse per sostituire il 100% dell’energia elettrica prodotta in Colombia con fonti rinnovabili entro il 2030, anche se questo richiederebbe un programma molto più energico di quello finora applicato. E secondo gli studi più pessimisti, la transizione a fonti di energia alternative potrebbe richiedere più di 30 anni in Colombia.
Alcuni passi in avanti sono già stati fatti. Il 70% dell’energia elettrica attualmente in uso in Colombia proviene già da centrali idroelettriche e Bogotà è oggi la città in cui circola la maggior quantità di autobus elettrici dell’America Latina. La Banca Interamericana di Sviluppo (BID) ha aperto recentemente diverse linee di credito per finanziare la transizione energetica colombiana. Quella più avanzata prevede lo stabilimento di un centro di produzione di idrogeno verde nei pressi di Cartagena. Il BID stima che per il 2027 l’elettricità proveniente da fonti non convenzionali passerà dall’attuale 2% al 17%. Un dato che pone il Paese all’avanguardia in America Latina, ma che dista dal garantire un futuro a petrolio zero come quello prospettato dal governo. Infatti solo lo 0,05% del totale del parco auto della Colombia funziona a energia elettrica. L’abbandono del petrolio e del gas comporterebbe inoltre un aumento di circa il doppio del consumo elettrico attuale e l’obbligo di sostituire il principale prodotto di esportazione del Paese, che oltre a cambiare la matrice energetica dovrebbe anche modificare radicalmente la propria strategia di inserzione nel mercato globale. Una vera e propria sfida per il governo Petro. Che ancora non ha presentato il programma ufficiale per la transizione energetica a livello nazionale.
La sfida di Petro
Il processo di elaborazione del piano nazionale infatti coinvolge il mondo delle imprese, le istituzioni e la società civile, in un progetto estremamente democratico, inclusivo e innovativo ma allo stesso tempo lento. La presentazione del risultato delle consultazioni è slittata da maggio di quest’anno a febbraio 2024.
Lo scenario catastrofico che l’opposizione sbandiera da mesi è l’esaurimento delle fonti di energia necessarie per far funzionare il Paese e l’obbligo di importare gas e petrolio a prezzi esorbitanti. Uno scenario che non sembra essere totalmente escluso dall’esecutivo Petro, che ancor prima di assumere il suo mandato ha iniziato a ricostruire la dilaniata relazione col Venezuela, paese chiave non solo in termini di interscambi commerciali ma anche per l’approvvigionamento energetico in caso di necessità.
Il piano colombiano ha anche importanti risvolti dal punto di vista geopolitico. A Davos e nei diversi tour internazionali intrapresi, Petro ha presentato la proposta debt for climate action, la riduzione delle spese del debito da parte dei paesi industrializzati in cambio dell’azione effettiva per ridurre l’impatto dell’attività umana sul clima da parte dei paesi debitori. Da diversi mesi però i Paesi della regione stanno intraprendendo il cammino opposto a quello colombiano: Ecuador, Brasile, Guyana, Surinam, Argentina, Messico e perfino il Venezuela con le sue difficoltà, stanno cercando di aumentare la propria produzione di greggio e gas visto l’aumento della domanda a livello globale. Tutti Paesi retti da governi con profili ideologici molto dissimili, ma che secondo i detrattori del governo colombiano potrebbero approfittare della decisione di Petro per colmare il calo nell’offerta sudamericana coi propri prodotti, rendendo di fatto nullo lo sforzo colombiano per diminuire l’impatto ambientale.
Nel caso del Brasile poi, quella energetica è una materia che provoca cortocircuiti tra i governi di Petro e Lula nonostante la sintonia ideologica. Per il Brasile, infatti, una delle priorità per la crescita della regione sta nell’integrazione delle aziende idrocarburifere, per potenziare la produzione a grande scala, garantire indipendenza energetica all’intero sub-continente e approfittare della congiuntura della guerra in Ucraina per negoziare in blocco l’esportazione di gas e petrolio verso altre parti del globo. Una proposta che non viene affossata dalla Colombia di Petro, ma che perde sicuramente slancio internazionale. Quella che invece non può decollare senza il sostegno di Lula è la proposta colombiana per una grande coalizione latinoamericana contro i combustibili fossili, presentata a Buenos Aires poco dopo l’elezione di Petro e ribadita in diversi forum regionali.
Messo alle strette da questioni tecniche, di politica interna, economiche e geopolitiche, il governo Petro ha più volte ammesso che la possibilità di ripristinare i contratti di esplorazione petrolifera è ancora aperta. Ma la “via colombiana all’economia verde” ad attirare l’attenzione internazionale, e non è detto che Petro non decida di dare una svolta radicale al proprio progetto e portarlo effettivamente a compimento. Sarebbe, se non altro, un grande esperimento.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di Luglio/Settembre di eastwest
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La “via colombiana all’economia verde” continua ad attirare l’attenzione internazionale. La strada è in salita, ma non è escluso che Petro decida di dare una svolta radicale al proprio progetto di abbandonare i combustibili fossili e di portarlo a compimento
Quando Gustavo Petro, il primo presidente di sinistra della storia della Colombia, ha assunto il potere nell’agosto 2022, la maggior parte degli analisti in America Latina si chiedevano quanto del suo ambizioso programma sarebbe stato in grado di portare avanti. La amplissima coalizione che lo ha supportato ha adottato lo slogan “Colombia potenza della vita”, che propone misure radicali per i principali problemi che affliggono il Paese da sempre: la guerra interna, il narcotraffico, il paramilitarismo, la povertà. In alcuni di questi aspetti il governo sta avanzando, alcune riforme presentate in Parlamento hanno riscosso consenso, e processi di negoziazione sono avviati con i gruppi guerriglieri, primo su tutti l’Esercito di Liberazione Nazionale con cui l’esecutivo sta lavorando a un accordo di pace tra Caracas e L’Avana.