La neonata Commissione per la Verità, frutto degli accordi di pace, deve fare chiarezza sui crimini commessi in 53 anni di conflitto in Colombia. “Proveremo a ricostruire la verità delle otto milioni di vittime”, spiega padre Francisco De Roux, incaricato di presiederla
Se c’è una parola che padre Francisco De Roux ripete spesso è dolore. Uno degli uomini più amati e più odiati della Colombia si trova dall’11 novembre a presiedere la neonata Commissione per la Verità, frutto degli accordi di pace sottoscritti un anno fa tra il governo e la guerriglia delle Farc.
Francisco De Roux è un gesuita di 74 anni che conosce come le sue tasche il basso e l’alto del Paese, gli strati più poveri e le elite più potenti. E conosce le viscere del conflitto che ha scandito brutalmente il XX secolo del Paese latinoamericano. Terzo di sette figli di una importante famiglia di Cali (con uno zio e un fratello ministri), due master in economia (uno a Parigi, l’altro a Londra), è famoso per aver dato impulso a fondazioni e programmi di imprese sociali e di micro-credito. Ha mappato intere regioni, paese per paese. E ha seppellito una quantità di amici e collaboratori, caduti sotto il fuoco di paramilitari e guerriglieri.
Padre Francisco, come opererà la Commissione per la Verità? Cosa cercherà di ricostruire?
Sarà un compito difficile quello che ci spetta: dovremo ricostruire cosa è stato questo terribile conflitto che ha travolto il Paese. Come è potuto succedere che sia esplosa una tale violenza. Quali condizioni, quali contesti, quale dolore ha prodotto, tanto da scrivere una storia così lunga. Lunga 8 milioni di vittime: noi proveremo a ricostruire la verità di quelle vittime.
In contemporanea funzionerà anche una giurisdizione speciale per individuare delitti e colpevoli. La Corte Suprema i giorni scorsi ne ha disegnato limiti e vincoli, suscitando molte polemiche. Come opereranno i due organismi?
A differenza della Jep, la Jurisdicion Especial para la Paz, la nostra Commissione non avrà obiettivi investigativi, né dovrà emettere sentenze. Noi opereremo dentro la verità che gli uomini e le donne di questo Paese potranno raccontare. La loro memoria sarà la nostra indagine. Alla fine, dopo tre anni di lavoro, consegneremo un nostro rapporto con quelle storie e le responsabilità di quei fatti.
Non c’è una memoria condivisa su quello che è successo. Come riuscirete a ricostruire un quadro di verità?
Memoria e verità non coincidono. Di memorie ce ne sono molte e fragili. E cariche di emozioni, di dolore, di lutto. Allo stesso tempo senza memoria non si può ricostruire la verità delle cose. Noi non cercheremo una verità giudiziale, che è anch’essa una memoria relativa. Noi cercheremo di avvicinarci alla verità e capire perché quelle donne e quegli uomini durante il conflitto siano state tanto odiate da diventare vittime.
E cosa porterà tutto questo?
Mi piacerebbe che nascesse da questi tre anni di Commissione un movimento verso la riconciliazione.
Eppure, nel Paese continuano ad essere assassinati leader contadini e comunitari e difensori dei diritti umani. Solo nel 2017 si stima siano 125 le vittime.
Marciamo in mezzo al sangue, sì, è così. È un dolore enorme che dobbiamo ascoltare. Dobbiamo entrare nei municipi più isolati del Cauca, cercare le comunità a Nariño, a Antioquia, nel Chocò, là dove sono più vulnerabili. Siamo tutti chiamati a fare uno sforzo enorme.
Le associazioni di militari sono state tra le voci più critiche dopo la sua nomina e del resto della Commissione da parte del Comitato dell’Onu. Come se lo spiega?
Ho avuto occasione di incontrarmi con ufficiali e vertici militari e da loro ho avuto l’impegno di una piena collaborazione. Sono critici gli ex-militari, perché sono parte del conflitto. Io capisco la loro reazione e l’ho interpretata come una richiesta di andare ad ascoltarli, ad ascoltare anche i loro dubbi, le loro paure, il loro dolore. La Commissione non è contro nessuno, né contro i militari né contro chi li ha combattuti, non è contro Santos o Uribe. Ma di sicuro è contro le bugie. E io so che raccontarci bugie fa parte dell’animo umano. Ma qui dobbiamo scavare e cercare altro.
Padre Francisco, lei è molto rispettato, ma anche molto odiato. Non ha paura? O di cosa ha paura?
Mi hanno dato del bandito, del guerrigliero, di ladro di terre. Sono stato minacciato, attaccato e ho rischiato la vita più e più volte. Ma io non ho paura. Non ne ho mai avuta. So che dietro a ogni minaccia c’è tanta rabbia, tanto dolore, tanta indignazione. Non ho paura per la mia vita: sono un credente e so che dopo la morte c’è vita. Perché dovrei temere? Ho un’unica paura: non poter dare dalle risposte ai colombiani. Ho paura di non essere all’altezza del compito che mi è stato affidato.
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