Un solidissimo argomento contro la retorica delle violenze di genere come problema di sicurezza arriva, involontariamente, proprio dal direttore del Central Bureau of Investigation (Cbi), l’Fbi indiana.

L’infelice paragone scappato a Ranjit Sinha, capo di una delle polizie federali indiane, doveva servire a far passare un concetto piuttosto lineare durante la discussione dell’opportunità di legalizzare o meno le scommesse in India.
Il dilemma è venuto a galla quest’estate, quando gli inquirenti indiani hanno scoperto un maxi giro di scommesse e partite vendute nella Indian Premier League, il campionato nazionale di club di cricket. All’epoca non mi scandalizzai molto per gli episodi di match-fixing, quanto nel rendermi conto che è vero, in India non si può scommettere sugli eventi sportivi (escluse le corse per i cavalli).
La discussione si è protratta per mesi senza ancora essere arrivati a una conclusione, con l’opportunità di legalizzare un costume già ampiamente diffuso che porterebbe nelle casse dello stato almeno 2,5 miliardi di euro; ovvero, di fronte all’impossibilità della repressione degli atti illegali, tanto vale legalizzarli e almeno ci si guadagna qualcosa.
L’espediente dialettico con cui il presidente Sinha ha provato a spiegare la sua posizione in merito è, testuale, il seguente:
Ci sono lotterie in ogni stato. Se possiamo avere delle sale da gioco nei resort per turisti e se il governo puà varare delle misure per la denuncia volontaria di fondi neri, che problema c’è col legalizzare le scommesse? Soprattutto, abbiamo le forze dell’ordine…facile a dirsi…se non puoi applicarla [la legge], come se non puoi prevenire gli stupri, goditela! È meglio legalizzare e guadagnare un po’ di soldi piuttosto che alzare le mani e lasciare che tutto si svolga come prima.
L’enorme gaffe di Sinha è stata stigmatizzata da politici e sui social network, evidenziando il gap che divide la sensibilità dell’opinione pubblica – che pare abbia fatto sue le istanze sollevate circa i diritti delle donne nel paese e non sia disposta più a far finta di nulla – da quella di certe istituzioni, che sembrano non aver proprio recepito il cambiamento profondo in atto.
A confermare questa tesi è arivata la giustificazione di Sinha, che si è difeso sostenendo che il paragone era inserito nella discussione sulle scommesse, non sui diritti delle donne, e che per spiegarsi meglio ha solo utilizzato un “proverbio”.
Pur nella tristezza di rilevare che persone con alte cariche istituzionali, specie nel reparto della sicurezza, navighino ancora nella palude del bigottismo patriarcale indano, per assurdo ci si trova di fronte a una buona notizia: se fino a poco tempo fa “proverbi” simili passavano sotto silenzio, oggi uscite del genere indignano l’opinione pubblica e costringono i Sinha della situazione a spiegazioni – anche rocambolesche – a mezzo stampa.
Un rislutato che, nella battaglia per i diritti delle donne, vale più di mille telecamere a circuito chiuso.
Un solidissimo argomento contro la retorica delle violenze di genere come problema di sicurezza arriva, involontariamente, proprio dal direttore del Central Bureau of Investigation (Cbi), l’Fbi indiana.