”L’inazione non è praticabile”, racconta l’ex capo del Pentagono (nonché direttore della Cia) Leon Panetta ai microfoni di Margaret Brennan della Cbs. “Lo scenario migliore sarebbe questo: Assad lascia e si forma un governo di transizione che comprende tutte le fazioni, sunniti, sciiti e curdi. Poi russi e quello che resta dell’esercito siriano si uniscono agli americani per portare alla sconfitta definitiva lo Stato Islamico”. E lo scenario peggiore, chiede la giornalista? “Quello”, risponde Panetta, “vede un Assad ancora al potere, che continua ad uccidere i civili, mentre i rifugiati scappano e i russi continuano ad attaccare le forze moderate che gli americani cercano di addestrare”.”Ma è quello che sta succedendo adesso!”, commenta la Brennan. “Sì”, replica Panetta, “ed è quello che continuerà ad accadere se non troveremo una via d’uscita”.
La soluzione prospettata dall’amministrazione Obama, ed anticipata la scorsa settimana dal Washington Post, non sembra trovare d’accordo l’ex titolare del Pentagono. In sostanza, si tratterebbe di un’offerta di maggiore collaborazione fatta dagli Stati Uniti alla Russia: non più uno semplice scambio delle coordinate degli obiettivi che si vuole colpire – scambio, peraltro, non privo di ostacoli negli ultimi mesi – ma la costruzione di un vero e proprio coordinamento militare tra le due potenze. Un Joint Implementation Group, ossia un nuovo quartier generale di comando e controllo stazionato ad Amman, formato da ufficiali della Difesa e dell’intelligence dei due Paesi, avrebbe lo scopo di stabilire, di comune accordo, gli obiettivi militari, che non comprenderebbero solo lo Stato Islamico, ma anche il Fronte al Nusra, la branca di Al Qaeda in Siria, una delle principali forze anti-Assad. In cambio di questa rafforzata collaborazione, che la Russia ha chiesto a gran voce negli ultimi mesi, Mosca si impegnerebbe ad impedire gli attacchi del regime siriano contro i civili e contro le forze ribelli vicine agli americani, nonché a garantire l’accesso degli aiuti alle aree assediate.
Questa offerta avviene in un momento in cui la bilancia militare pende dalla parte di Assad. Le forze governative hanno ripreso ad assediare in maniera consistente Aleppo e stanno rompendo la difesa posta dai ribelli a Daraya, una delle zone più riottose del Paese, alla periferia della capitale. Le barrel bombs e i raid aerei del regime si sono intensificati e non hanno affatto risparmiato i civili (secondo l’ong Syrian Network, 706 dei 1271 civili uccisi in Siria a giugno sono vittime degli attacchi di Assad).
Noah Bonsey, esperto di Siria dell’International Crisis Group, a colloquio con Eastonline, pur rimanendo scettico, non boccia del tutto l’offerta che John Kerry ha appena portato al collega russo Lavrov, ma sottolinea tutti i rischi insiti nell’iniziativa, e soprattutto crede che soltanto allargando il quadro la mossa possa funzionare. “La cooperazione militare proposta dagli Stati Uniti alla Russia contro il Fronte al Nusra porta con sé potenziali costi e rischi piuttosto significativi per Washington”, spiega Bonsey. “Dal momento che Mosca sostiene la brutale strategia militare del regime siriano ed ha un ruolo negli attacchi che, costantemente, colpiscono obiettivi ed infrastrutture civili, qualsiasi coordinamento diretto tra Stati Uniti e Russia non farà altro che provocare molta rabbia, all’interno e al di fuori della Siria, tra tutti coloro che combattono Assad. Quindi si rafforzerà la narrativa dei qaedisti di al Nusra, secondo cui gli Stati Uniti sono tacitamente alleati di Damasco e dei suoi sostenitori, ed aumenterà l’appeal da parte del jihad”.
Per far funzionare l’accordo Washington/Mosca l’esperto dell’International Crisis Group ha una proposta: “A causa dei rischi che ho elencato, ogni cooperazione militare diretta con Mosca, contro la branca di al Qaeda, dovrebbe essere condizionata dalla piena attuazione di un nuovo accordo di Cessation of Hostilities (il nome con cui è stata chiamata la tregua concordata a febbraio, dopo l’intesa tra Russia e Stati Uniti, ndr). Questo accordo dovrebbe includere uno stop completo a tutti gli attacchi del regime e della Russia contro i civili e contro le fazioni diverse da al Nusra nelle aree controllatedall’opposizione siriana. Solo in questo modo si potrà rendere marginale la componente qaedista ed esporre tutte le contraddizioni che separano la sua agenda da quella degli altri gruppi che si oppongono ad Assad”.
L’intesa con la Russia dovrà esplicitare in maniera chiara questi punti. Come spiega Bonsey, “la proposta americana ai russi include in linea teorica queste condizioni, ma in realtà ci sono troppe scappatoie che possono permettere ad Assad, e agli stessi russi, di continuare a colpire le forze di opposizione non qaediste, comprese quelle appoggiate dagli Usa”. Inoltre, non è molto facile stabilire quali siano le “aree designate” in cui gli attacchi sono ammissibili, perché non c’è una distinzione netta, dal punto di vista della localizzazione geografica, tra i vari gruppi, che spesso sono mescolati. L’esperto aggiunge un’altra considerazione, che non fa ben sperare per il futuro: “Sinora il regime e la Russia non hanno rispettato gli accordi precedenti, anzi ne hanno approfittato per far avanzare la propria agenda. Perché un coordinamento militare tra americani e russi possa funzionare, e rendere possibile una soluzione, questo approccio deve cambiare nella maniera più assoluta”.
@vannuccidavide
”L’inazione non è praticabile”, racconta l’ex capo del Pentagono (nonché direttore della Cia) Leon Panetta ai microfoni di Margaret Brennan della Cbs. “Lo scenario migliore sarebbe questo: Assad lascia e si forma un governo di transizione che comprende tutte le fazioni, sunniti, sciiti e curdi. Poi russi e quello che resta dell’esercito siriano si uniscono agli americani per portare alla sconfitta definitiva lo Stato Islamico”. E lo scenario peggiore, chiede la giornalista? “Quello”, risponde Panetta, “vede un Assad ancora al potere, che continua ad uccidere i civili, mentre i rifugiati scappano e i russi continuano ad attaccare le forze moderate che gli americani cercano di addestrare”.”Ma è quello che sta succedendo adesso!”, commenta la Brennan. “Sì”, replica Panetta, “ed è quello che continuerà ad accadere se non troveremo una via d’uscita”.
La soluzione prospettata dall’amministrazione Obama, ed anticipata la scorsa settimana dal Washington Post, non sembra trovare d’accordo l’ex titolare del Pentagono. In sostanza, si tratterebbe di un’offerta di maggiore collaborazione fatta dagli Stati Uniti alla Russia: non più uno semplice scambio delle coordinate degli obiettivi che si vuole colpire – scambio, peraltro, non privo di ostacoli negli ultimi mesi – ma la costruzione di un vero e proprio coordinamento militare tra le due potenze. Un Joint Implementation Group, ossia un nuovo quartier generale di comando e controllo stazionato ad Amman, formato da ufficiali della Difesa e dell’intelligence dei due Paesi, avrebbe lo scopo di stabilire, di comune accordo, gli obiettivi militari, che non comprenderebbero solo lo Stato Islamico, ma anche il Fronte al Nusra, la branca di Al Qaeda in Siria, una delle principali forze anti-Assad. In cambio di questa rafforzata collaborazione, che la Russia ha chiesto a gran voce negli ultimi mesi, Mosca si impegnerebbe ad impedire gli attacchi del regime siriano contro i civili e contro le forze ribelli vicine agli americani, nonché a garantire l’accesso degli aiuti alle aree assediate.