Il vertice Cop26 dovrebbe spingere il mondo fuori dall’emergenza climatica. Tutti con il fiato sospeso, tra un tornado e un’alluvione…
Si è aperta ieri a Glasgow la ventiseiesima conferenza dell’Onu sul clima.
La Cop26, cioè la Conferenza delle Parti, raduna 196 Paesi del mondo con lo scopo di raggiungere intese comuni per contrastare il cambiamento climatico. Secondo la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), ogni paese della Terra è vincolato da un trattato a “evitare i cambiamenti climatici e a trovare modi per ridurre le emissioni di gas serra”.
Secondo il rapporto della Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), diffuso ieri alla Conferenza, gli ultimi sette anni sono stati i più caldi di sempre (da quando si rilevano le temperature) e anche il 2021, nonostante le piccole flessioni causate dai lockdown imposti dal Covid-19, non ha fatto eccezioni.
Dal rapporto emerge inoltre che l’aumento dei livelli degli oceani ha subito un ulteriore peggioramento. Se dal 1993 al 2002 l’innalzamento delle acque era pari a 2,1 mm all’anno, dal 2013 l’incremento è cresciuto di 4,4 mm all’anno. “Gli eventi meteorologici estremi sono la nuova normalità. C’è una crescente evidenza scientifica che alcuni di questi portano l’impronta del cambiamento climatico provocato dall’uomo”, ha dichiarato il segretario generale della Wmo, Petteri Talaas.
Nel 2015 195 Paesi hanno firmato l’Accordo di Parigi, un’intesa che include quattro impegni importanti sul clima: mantenere l’aumento di temperatura inferiore ai 2 gradi, smettere di incrementare le emissioni di gas serra, controllare i progressi su base quinquennale, aiutare i Paesi più poveri a sviluppare fonti di energia alternative.
Uno degli obiettivi della Cop26 è quello di definire un metodo per vincolare i Paesi firmatari agli impegni presi sulla riduzione delle emissioni di gas serra. I Nationally Determined Contributions (NDC), cioè gli obiettivi scelti in maniera volontaria dai singoli Stati, variano da Paese a Paese, sia dal punto di vista quantitativo (di quanto ridurre le emissioni), sia qualitativo (in che modo attuare le proprie riforme).
Gli scienziati stimano che le emissioni debbano essere ridotte del 45% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2010, se si vuole che il mondo abbia buone possibilità di rimanere entro la soglia di 1,5°C. Le conseguenze di un ulteriore innalzamento sarebbero gravissime.
Un mondo surriscaldato porterebbe a disastrosi innalzamenti del livello del mare e una siccità di durata sempre maggiore, che lascerebbero decine di milioni di persone senza cibo. L’Unione europea, con una legge vincolante, si è data l’obiettivo di ridurre le proprie emissioni del 55% entro il 2030.
Alok Sharma, il Presidente del vertice, ha invitato i leader globali a intensificare gli impegni per ridurre le emissioni. Secondo un rapporto del centro di ricerca e consulenza statunitense Rhodium Group, la Cina è responsabile del 27% delle emissioni di gas nocivi globali. Al secondo posto nella graduatoria di chi inquina di più l’atmosfera terrestre ci sono gli Stati Uniti con l’11%, seguito dall’India con il 6,6%.
Per rimuovere l’idea che questi vertici internazionali siano solo “bla bla bla”, i gas serra devono essere fortemente limitati. I numeri sono preoccupanti e non possono essere più trascurati o sottovalutati. Chi ancora sostiene che l’incremento della temperatura terrestre sia normalmente ciclica può essere paragonato alla follia ignorante dei no vax, che stanno ritardando il ritorno del mondo alla normalità con la loro ostinata avversità alle evidenze scientifiche.