Kim s’impegna a sospendere i test e mette il nucleare sul tavolo di un possibile negoziato con Washington. Entro aprile l’incontro con Moon, l’artefice del disgelo, ora premiato dai sondaggi. Ma Usa e Giappone restano diffidenti e rivendicano il successo della linea dura
Sono bastati i colori tenui, quasi sfumati, delle immagini diffuse dalla tv nazionale nordcoreana, il sorriso di Kim Jong-un, la soddisfazione di Chung Eui-yong, delegato del presidente sudcoreano Moon Jae-in, a dare l’idea del clima di distensione tra Seul e Pyongyang.
Continua la luna di miele iniziata alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang, con l’arrivo a Seul di Kim Yo-jong, sorella del leader nordcoreano, e Kim Yong-nam, presidente del congresso del popolo e capo di Stato nominale del Regno eremita. O almeno così pare.
Tra banchetti e sorrisi di rito, sono arrivate promesse importanti per il futuro della penisola coreana. A partire da un summit tra i due leader Moon e Kim entro il prossimo aprile. «Riferirò chiaramente la volontà del presidente Moon di mantenere l’attuale livello di dialogo tra le due Coree – aveva dichiarato il capo delegazione Chung prima della partenza per Pyongyang – per ottenere una pace permanente e la denuclearizzazione della penisola». Le due Coree sono formalmente in guerra dal 1953. Prima di lunedì, appena sei delegazioni erano state inviate da Seul a Nord del 38esimo parallelo. La missione Chung è la prima però ad essere stata resa pubblica.
Kim Jong-un, da parte sua – così hanno riferito gli inviati sudcoreani – ha usato toni concilianti, dichiarando il proprio impegno verso la denuclearizzazione. Perciò, riferiscono sempre fonti sudcoreane, Kim si sarebbe impegnato a sospendere tutti i test balistici e nucleari finché saranno in corso le negoziazioni con il Sud. Poche ore prima l’agenzia di stampa sudcoreana Yonhap aveva rivelato che Pyongyang era pronta a trattare direttamente con gli Stati Uniti. A patto, naturalmente, che la sicurezza del Paese non sia messa in discussione.
In un editoriale uscito mercoledì il giornale di Stato nordcoreano, il Rodong Sinmun, è tornato infatti a ribadire la posizione ufficiale di Pyongyang sul proprio arsenale nucleare: “Possediamo legalmente armi nucleari per proteggere i nostri interessi primari contro la minaccia nucleare statunitense”, si legge. “A fronte della più grande potenza nucleare al mondo, non abbiamo scelta – se non quella di possedere armi nucleari, ndr – per difendere il sistema e il destino del nostro Paese”.
Ciononostante, la volontà di cooperazione di Pyongyang ha riscosso apprezzamenti da più parti, anche nei Paesi più scettici circa la serietà delle promesse di Kim.
Da una parte Cina e Russia, da tempo a favore – anche se nell’ultimo anno con sempre maggiori riserve – di una linea di conciliazione con il “Regno eremita”. “Speriamo che la Corea del Nord e la Corea del Sud possano realizzare un consenso rilevante in modo onesto e che continuino con i propri sforzi verso l’avanzamento della riconciliazione e della cooperazione”, si legge in un comunicato del ministero degli Esteri di Pechino. “Speriamo che tutte le parti coinvolte nella questione possano cogliere l’attuale opportunità, lavorino per un obiettivo condiviso e facciano sforzi coordinati per promuovere il processo di denuclearizzazione della penisola”.
Dall’altra Giappone e Stati Uniti, che difendono invece il pugno di ferro contro l’ultimo degli “Stati canaglia” al mondo. Tokyo fa sapere di apprezzare lo sforzo, ma di non avere intenzione di “allentare la pressione” diplomatica attraverso le sanzioni. Anche durante le Olimpiadi di Pyeongchang, il governo giapponese, guidato dal conservatore Shinzo Abe – uno che sui rapporti con la Corea del Nord e in particolare sulla questione dei rapimenti ai danni di cittadini giapponesi tra gli anni ’70 e ’80 ci ha costruito una carriera politica – aveva messo la comunità internazionale in guardia dall’offensiva dello charme di Pyongyang. «La Corea del Nord sta usando la diplomazia del sorriso per effetto delle sanzioni», ha dichiarato il ministro degli Esteri giapponese Taro Kono.
Una posizione condivisa dal presidente Usa Donald Trump. Come di consueto, l’inquilino della Casa Bianca ha affidato a Twitter la sua fiducia in “possibili progressi” nelle relazioni con la Corea del Nord. “Il mondo guarda e aspetta”, ha scritto Trump sul social network. “Potrebbe essere una falsa speranza, ma gli Stati Uniti sono pronti ad andare forte in ogni direzione”. Anche, come più volte sottolineato dallo stesso Trump, in quella dell’intervento armato.
Per ora, però, a dispetto anche delle critiche delle opposizioni interne, a vincere è la linea pacifica di Moon – forse non a caso nel ventennale della Sunshine Policy, la politica di riconciliazione tra le due Coree, inaugurata dall’ex presidente sudcoreano Kim Dae-jung nel 1998. Il suo impegno per la riconciliazione gli sta valendo una popolarità senza precedenti – con un tasso di approvazione che supera il 66 per cento.
Il suo stile pacato e trasparente, ha scritto James Palmer su Foreign Policy, contrasta fortemente con quello dell’ex presidentessa Park Geun-hye, caduta in disgrazia per il suo dubbio legame con un’associazione mistico-religiosa che l’avrebbe condizionata nel corso del suo mandato. Ma è il suo impegno a giungere ad un esito pacifico delle tensioni infinite con il Nord – frutto, scrive ancora Palmer, della sua fede di cristiano praticante e della sua esperienza da attivista per i diritti umani tra gli anni ’70 e ’80 – a fare di lui una figura di riferimento a livello internazionale. Nessuno meglio di lui, figlio di rifugiati nordcoreani, sa come trattare con Pyongyang.
“Quando arriverà la pacificazione la prima cosa che farò – ha scritto in un suo recente libro – sarà portare mia madre ultranovantenne al suo Paese natale”.
@Ondariva
Kim s’impegna a sospendere i test e mette il nucleare sul tavolo di un possibile negoziato con Washington. Entro aprile l’incontro con Moon, l’artefice del disgelo, ora premiato dai sondaggi. Ma Usa e Giappone restano diffidenti e rivendicano il successo della linea dura