Elezioni imprevedibili e anche sgradevoli per i cittadini della decima economia più grande del mondo. A vincere, il ruspante Yoon Seok-yeol, leader del partito di opposizione, il conservatore People Power Party
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Confermare la linea politica esistente, ovvero quella tracciata dall’attuale presidente progressista Moon Jae-in, oppure affidarsi a una scelta di rottura e restituire il Paese ai conservatori. La Corea del Sud si trova di fronte a un bivio politico delicatissimo. Le elezioni presidenziali sono imminenti, e tutto, adesso, è nelle mani dei cittadini, chiamati alle urne per scegliere il prossimo Presidente della Repubblica in un clima internazionale sempre più teso e in un contesto socio-economico interno scricchiolante.
Già, perché oltre il 38esimo parallelo la Corea del Nord è tornata a lanciare missili, la concorrenza economica con il Giappone, nell’ottica di conquistare preziose quote di mercato in Cina, è sempre più sfrenata e in patria aleggia un vento di forte sfiducia. A pesare sugli umori dei sudcoreani sono l’immoralità, il nepotismo e la corruzione di numerosi esponenti politici di spicco, mentre lo scenario è ulteriormente complicato dalle varie incertezze commesse proprio da Moon Jae-in, in primis non essere stato in grado di forgiare un delfino riconoscibile e capace di traghettare il partito verso una vittoria assicurata.
Lee Jae-myung, copia sbiadita di Moon e volto nuovo del Partito democratico, è apparso fin da subito troppo velleitario, soprattutto se paragonato al ruspante Yoon Seok-yeol, l’uomo del più grande partito di opposizione, il conservatore People Power Party. È vero che i sondaggi lasciano sempre il tempo che trovano, ma numeri e percentuali aiutano a prevedere quale potrebbe essere la tendenza degli elettori. Ebbene, lo scorso 24 gennaio i dati mostravano il signor Lee fermo al 36,8% delle preferenze, distaccato di oltre 5 punti da Yoon, in crescita al 42%. Alle loro spalle, con pochissime speranze di vittoria, troviamo due possibili outsider: il centrista Ahn Cheol-soo del People Party, terzo nei sondaggi con circa il 10% dei consensi, e la signora Sim Sang-jung del Justice Party, sinistra liberale, 2,5%. I media sudcoreani, non a caso, ripetono che queste sono “le elezioni generali più imprevedibili” ma anche – come vedremo − “le più sgradevoli” dalla democratizzazione della Corea del Sud a oggi. Il punto fondamentale è che sia Lee che Yoon non hanno dimostrato di avere una grande presa sull’elettorato, che molto probabilmente si ritroverà costretto a decidere il male minore più che il candidato ideale per guidare il Paese nella fase post pandemica. Difficile fornire una chiave di lettura diversa, visto e considerato che i due principali contendenti hanno passato gran parte del tempo a fare campagna elettorale gestendo molteplici controversie.
Chi è Yoon Seok-yeol
Yoon, un ex procuratore generale, ha mantenuto per mesi uno stretto vantaggio nei sondaggi d’opinione, sfruttando soprattutto la disillusione pubblica per i fallimenti politici del presidente Moon e il fatto di aver contribuito a far arrestare l’ex presidente Park Geun Hye; in un secondo momento l’intensificarsi dei conflitti interni al People Power Party ha vanificato il bottino acquisito, rimettendo in corsa gli alleati. In più, lo sfidante di Lee è stato travolto da uno scandalo che ha coinvolto sua moglie, Kim Keon-hee, che in una registrazione resa pubblica ha minacciato di voler perseguire tutti i media che hanno criticato suo marito, una volta che Yoon sarebbe divenuto presidente. Lee, avvocato in pensione, è stato governatore di Gyeonggi, la provincia più popolosa del Paese. Anche il suo entourage si è ritrovato a gestire scandali spinosi, come quello sul gioco d’azzardo illegale del figlio sollevato dal quotidiano Chosun, un presunto collegamento – smentito – a un caso di speculazione immobiliare avvenuto sotto la sua sorveglianza, le polemiche derivanti dall’aver sostenuto nelle vesti di avvocato difensore un nipote accusato di aver ucciso due donne – la ragazza e la di lei madre − nel lontano 2006, e, infine, le voci secondo cui avrebbe aggredito sua moglie, Kim Hye-gyeong, rompendole un osso e causandole un intervento chirurgico.
Al netto delle chiare divergenze biografiche e politiche, tra Yoon e Lee esistono numerose affinità che non riguardano soltanto gli scandali. Ad esempio, i due principali contendenti alla carica presidenziale, per la prima e fin qui unica volta nella storia coreana, non hanno esperienza legislativa nell’Assemblea nazionale, il parlamento monocamerale della Corea del Sud. Questo aspetto rispecchia appieno l’insoddisfazione dei sudcoreani, che hanno, in sostanza, rigettato l’establishment politico preferendo affidarsi a personaggi inediti situati al di fuori delle tradizionali sale del potere. Sia il candidato democratico che quello conservatore, inoltre, hanno mostrato di possedere una leadership politica affine a quella dell’”uomo forte populista”, in auge un po’ ovunque in questo XXI secolo. Ricordiamo che in Corea del Sud i progressisti considerano la generazione di conservatori che ha progettato la crescita economica come la vecchia élite, mentre i conservatori vedono la generazione di attivisti progressisti e pro-democrazia come la nuova élite. Ciascuno accusa quindi l’altro di rappresentare il male assoluto e veicola i propri messaggi politici quasi esclusivamente verso i propri sostenitori. In un’atmosfera così polarizzata, le qualifiche di ciascun candidato come leader politico passano in secondo piano.
Il contesto interno
I temi dell’agenda del futuro presidente della Corea del Sud sembrano però essere abbastanza evidenti. Oltre all’impellenza di far uscire definitivamente Seul dalla pandemia di Covid-19, il successore di Moon dovrà affrontare la crescente disuguaglianza e una crisi del costo della vita che ha quasi strangolato la decima economia più grande del mondo. Il problema più grosso si trova nel mercato immobiliare, dove il prezzo medio delle case nella grande area di Seul è raddoppiato negli ultimi cinque anni. Per quanto riguarda la disuguaglianza, Lee ha paventato l’idea di introdurre un reddito di base universale, progetti per alloggi di base e programmi finanziari pensati per le persone più bisognose. I conservatori di Yoon hanno invece altri piani, a cominciare dal sostegno alle politiche economiche liberali − le stesse che supportano i chaebol, e cioè i grandi conglomerati industriali che si spartiscono l’economia sudcoreana − per passare a posizioni conservatrici sulla sicurezza nazionale, Corea del Nord compresa.
A questo proposito, sarà interessante capire come verrà sfruttata l’eredità di Moon, fautore di uno storico disgelo con Pyongyang, dello stop alle esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti e dell’abbandono graduale dell’industria dell’energia nucleare civile. In caso di vittoria, Lee potrebbe ripercorrere la stessa strada del predecessore, aggiungendo però più durezza nelle relazioni con il Nord. Il candidato progressista ha parlato di un piano di salvataggio di emergenza di 100 giorni che fornirebbe una pesante iniezione finanziaria per rivitalizzare l’economia sudcoreana colpita dalla pandemia. Yoon cambierebbe invece ogni carta in tavola, puntando su un revival del nucleare in campo energetico, sulla linea durissima nei confronti di Kim Jong-un e sulla revisione del rapporto con la Cina, considerata sì strategica ma in ambito economico. Alcuni dei più grandi critici di Yoon provengono però dall’interno del suo stesso partito, in particolare tra i sostenitori di Park, i quali lo considerano – come effettivamente è stato – uno dei protagonisti delle indagini che hanno portato alla sua caduta e all’ascesa di Moon. Il futuro Presidente della Corea del Sud, qualunque esso sia, immaginava senza dubbio di sfruttare al meglio l’eredità del suo predecessore. Che, al contrario di quanto si possa pensare, ha alternato luci (apertura alla Corea del Nord, lotta al Covid) e ombre (processo di pace con Pyongyang rimasto incompleto, poca lotta alla corruzione). È anche per questo motivo, dunque, che la campagna elettorale, serrata ma banale, partorirà un candidato che dovrà per forza di cose iniziare a immaginare un Paese diverso.
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Confermare la linea politica esistente, ovvero quella tracciata dall’attuale presidente progressista Moon Jae-in, oppure affidarsi a una scelta di rottura e restituire il Paese ai conservatori. La Corea del Sud si trova di fronte a un bivio politico delicatissimo. Le elezioni presidenziali sono imminenti, e tutto, adesso, è nelle mani dei cittadini, chiamati alle urne per scegliere il prossimo Presidente della Repubblica in un clima internazionale sempre più teso e in un contesto socio-economico interno scricchiolante.