Siamo in campagna elettorale e ogni santo giorno esce una notizia o una dichiarazione riguardante il leit motiv delle prossime elezioni: lotta senza quartiere alla corruzione. Un po’ di cifre per inquadrare il problema.

Ieri sera in un talk show politico in onda su Ndtv uno dei dirigenti più presentabili del Bharatiya Janata Party (Bjp), Arun Jatley, con estrema pacatezza ha spiegato che in India la gente è incazzata e furstrata a causa della corruzione rampante nel paese. La rabbia sociale ha trovato sfogo perfetto nell’Aam Aadmi Party di Arvind Kejriwal che, preparandosi a correre per le nazionali, in qualche modo ha costretto tutto l’arco parlamentare a misurarsi – a parole, per ora – col problema delle mazzette.
In ogni passaggio televisivo o intervista, non c’è politico in India che non manifesti la volontà di candidarsi alla guida del paese per costruire un’India pulita e combattere i corrotti, sempre rigorosamente indicati come i rappresentanti dell’altra parte politica.
Nei giorni scorsi due notizie riportavano alcune cifre indicative di un problema che contribuisce alla difficoltà di una crescita diffusa e stabile del subcontinente che, nonostante la mitologia dell’India locomotiva asiatica, da qualche tempo arranca ben al di sotto delle aspettative (intorno al 5 per cento di crescita del Pil, pochissimo per un gigante da 1,3 miliardi di persone).
Il Times of India, ad esempio, racconta delle falle del sistema di distribuzione nazionale di alimenti a prezzi calmierati, una macchina panindiana che vanta oltre 5 milioni di “negozi governativi” dove gli aventi diritto (più o meno 700 milioni di persone, secondo una legge per la sicurezza alimentare passata lo scorso anno) possono comprare riso, farina e miglio a prezzi più bassi rispetto a quelli dettati dalle leggi di mercato: la differenza ce la mette Delhi coi sussidi.
Bene, pare che il governo centrale spenda tre volte tanto quanto guadagna (3,65 rupie per fornire ogni rupia di cibo), creando un buco nero nelle casse dello stato che non si sa bene come e se verrà riempito. Ad aggiungere danni al danno è proprio la corruzione, poiché secondo le stime il 57 per cento del cibo destinato ai negozi del governo sparisce nel nulla, o meglio, nel mercato nero.
Oggi invece l’Hindustan Times riporta l’esito di un’indagine condotta anche in India da esperti americani nominati dal Congresso e presentata ieri dal Segretario di Stato John Kerry ai deputati statunitensi. Secondo il rapporto, la corruzione in India è “diffusa”, aggettivo giustificato da una serie di dati. Solo nel 2013 il Central Bureau of Investigation (Cbi, l’Fbi indiana) ha aperto oltre 500 indagini per presunti casi di corruzione. Casi gravi, ché il Cbi si occupa di penale.
A livello amministrativo ci pensa invece la Central Vigilance Commission (Cvc), organo fondato negli anni ’60 proprio per contrastare la corruzione: i fascicoli aperti dalla Cvc nel 2012 sono stati oltre 7000 (settemila!) e per il 90 per cento sono scattate delle sanzioni.
La domanda sorge naturale: quanti soldi ci perde ogni anno l’India a causa della corruzione? Dato molto difficile da quantificare e anche da reperire in rete da una fonte minimamente affidabile. Su Wikipedia riprendono un pezzo di qualche anno fa dell’Economic Times dedicato ad una pubblicazione accademica (Corruption in India: The DNA and RNA) a cura di Bibek Debroy e Laveesh Bhandari. Secondo loro, nel 2011 sono finiti nelle tasche dei funzionari governativi quasi 19 miliardi di dollari, pari a 1,26 punti percentuali del Pil indiano.
Tanti auguri al prossimo primo ministro indiano.
Siamo in campagna elettorale e ogni santo giorno esce una notizia o una dichiarazione riguardante il leit motiv delle prossime elezioni: lotta senza quartiere alla corruzione. Un po’ di cifre per inquadrare il problema.