Il tradimento dei generali, il presidente in fuga, i carri armati nelle strade, il popolo che scende in piazza per difendere l’autocrate liberamente eletto. Potrebbe verificarsi uno scenario simile in Russia?
Non c’è bisogno di usare tanto la fantasia. La Russia ha già visto fallire un colpo di stato nel volgere di due giorni. Era l’estate del 1991, ancora Urss, il leader in vacanza lontano dalla capitale era Mikhail Gorbaciov, a guidare i carri armati nelle strade di Mosca c’erano i conservatori del partito Comunista e fu il popolo russo, arringato dall’allora presidente della Russia Boris Eltsin, a fermare i golpisti. Sono passati 25 anni, Putin non è Gorbaciov e la sua Russia non è l’Unione sovietica agonizzante del dopo caduta del Muro di Berlino.
Potrebbe succedere ancora? Cosa può insegnare a Putin il colpo di stato in Turchia?
La Guardia nazionale, i «pretoriani di Putin»
C’è un fatto, che la Russia e la Turchia si somigliano sempre di più. Meglio, a somigliarsi sono i sistemi sempre meno democratici e sempre più autocratici nelle mani dei due presidenti. Si può discutere se sia Erdoğan ad aver preso il putinismo a modello per il proprio Paese o Putin a prendere spunto dalla stretta turca sull’opposizione e sull’informazione, o forse tutt’e due. Certo è che Putin deve aver seguito con una buona dose di attenzione i fatti della notte tra venerdì e sabato in Turchia.
La frangia golpista dell’esercito turco ha potuto muovere poche migliaia di militari, una dozzina di blindati e non più di un paio di elicotteri. Probabilmente, le speranze dei golpisti erano due: catturare Erdoğan e contare sull’appoggio del resto delle forze armate.
Putin può sentirsi al sicuro da un pericolo del genere. Dopo aver sapientemente bilanciato per anni il ruolo delle principali forze interne antagoniste – il servizio federale di sicurezza, Fsb, e il potente ministero dell’Interno – facendo sì che nessuna delle due accentrasse in sé abbastanza potere da poter insidiare l’altra, ha creato solo pochi giorni fa la Guardia nazionale.
Il nuovo corpo paramilitare può contare su 400mila uomini della sicurezza interna Vnutrenniye Voiska (VV), dei corpi speciali della polizia Omon e dagli spetsnaz del ministero dell’Interno Sobr, che non risponderanno più del loro operato al ministero. A capo della Natsgvardija ci sarà Viktor Zolotov, comandante delle forze interne ed ex capo della sicurezza personale di Putin fino al 2013.
I «pretoriani di Putin» sono così una forza armata, altamente specializzata ed equipaggiata con armi anche pesanti, terza rispetto alla polizia e all’esercito e sotto il diretto comando del presidente della Federazione.
Se pezzi dell’esercito o del ministero dell’Interno dovessero mettere in atto un colpo di stato sul modello di quello turco, il presidente sarebbe al sicuro e potrebbe contare su una forte e rapida reazione armata.
Una Maidan russa
Il vero spauracchio di Putin, però, non sono gli apparati dello Stato. Sono i russi stessi.
È difficile dirlo, ma sarebbe piuttosto improbabile vedere scene come quelle di Istanbul e Ankara, con i cittadini in piazza a difenderlo dai carri armati. I russi in piazza non sono una cosa buona per Putin.
La paura di una Maidan in Russia non è mai stata del tutto scacciata. È tutta su questo fronte l’attività di prevenzione «antiterrorismo» delle forze di sicurezza di Mosca. Come la grande esercitazione dello scorso anno, la Zaslon 2015, quando 40mila poliziotti per 9 giorni in sei regioni del Paese si sono esercitati a reprimere manifestazioni di massa in larga scala. «Le operazioni si sono basate su eventi accaduti di recente in uno dei paesi vicini. Per creare una situazione prossima alla realtà, sono stati utilizzati tutti gli schemi di quegli eventi, come incendi di pneumatici e lanci pietre e molotov contro gli agenti», commentò il portavoce delle VV, Vasily Panchenkov, descrivendo una Maidan senza nominarla.
Ma uno scenario del genere non va solo represso, va prevenuto. A farlo ci pensano le leggi liberticide varante negli ultimi anni, compresa la recentissima legge antiterrorismo entrata in vigore mercoledì, la peggiore di tutte. Oggi, la mancata denuncia di un reato diventa essa stessa un reato, mentre la responsabilità penale è stata estesa ai maggiori di 14 anni. Ma quello che l’ha fatta soprannominare «Legge grande fratello» è il controllo sulle comunicazioni: tutte le chiamate, gli sms, i messaggi e le email saranno registrate e conservate per sei mesi, in modo che i servizi di sicurezza possano leggerli anche con comodo. Il governo avrà il potere di chiedere ai gestori le chiavi delle conversazioni crittografate.
Ecco, in questo forse Putin può imparare qualcosa da Erdoğan. Non tanto dal golpe in sé, ma dalle purghe che sta attuando proprio in questi giorni. Dovesse succedere in Russia, anche lì le liste di proscrizione saranno già bell’e pronte. Così come il modello da seguire.
@daniloeliatweet
Il tradimento dei generali, il presidente in fuga, i carri armati nelle strade, il popolo che scende in piazza per difendere l’autocrate liberamente eletto. Potrebbe verificarsi uno scenario simile in Russia?
Non c’è bisogno di usare tanto la fantasia. La Russia ha già visto fallire un colpo di stato nel volgere di due giorni. Era l’estate del 1991, ancora Urss, il leader in vacanza lontano dalla capitale era Mikhail Gorbaciov, a guidare i carri armati nelle strade di Mosca c’erano i conservatori del partito Comunista e fu il popolo russo, arringato dall’allora presidente della Russia Boris Eltsin, a fermare i golpisti. Sono passati 25 anni, Putin non è Gorbaciov e la sua Russia non è l’Unione sovietica agonizzante del dopo caduta del Muro di Berlino.