«Le esplosioni – ha scritto la Xinhua – sono avvenute alle 07:40 al di fuori degli uffici del Comitato del Partito Comunista dello Shanxi, nella città di Taiyuan, capoluogo della provincia dello Shanxi. A giudicare dai cuscinetti a sfera in acciaio sparsi in tutta la scena, la polizia sospetta che si sia trattato di un ordigno esplosivo improvvisato. La polizia ha bloccato la scena e l’incidente è sotto inchiesta».

A poco più di una settimana dall’attentato sulla Tiananmen a Pechino, un’altra esplosione scuote la Cina che si prepara all’appuntamento dell’anno, il terzo Plenum del Diciottesimo Comitato Centrale del Partito comunista. Secondo la polizia i sette ordigni esplosi di fronte alla sede del Partito Comunista di Taiyuan sarebbero «artigianali», ma di sicuro non è usuale nella Cina odierna, riscontrare eventi di questo tipo in uno spazio temporale così breve.
Cosa sta succedendo in Cina, dunque?
Ci sono naturalmente molte ipotesi, che potrebbero anche prevedere – per l’esplosione di Taiyuan – il gesto isolato di un disperato o uno dei tanti cittadini cinesi che hanno subito un torto dalle autorità (così come si è scoperto in seguito che la famiglia uighura suicida sulla Tiananmen, era collegata agli scontri etnici in Xinjiang). Gli ordigni di Taiyuan erano sulla strada, nascosti nelle fioriere e sono stati fatti esplodere al mattino, quando la gente si reca al lavoro.
L’imminente incontro del Terzo Plenum, che dovrà ratificare le politiche economiche e non solo, per il prossimo decennio, segna però uno di quei momenti di alta tensione politica cinese, in cui a giocarsi tutto sembra essere proprio il Presidente Xi Jinping.
Per ora una connessione di Taiyuan con la politica nazionale è permessa dalla campagna anticorruzione di Xi Jinping. Le autorità cinesi hanno infatto inviato team di ispettori in varie province cinesi, con lo scopo di controllare lo stato dell’arte. A Taiyuan gli ispettori sono arrivati da alcuni giorni. I due eventi (lo scontro dell’auto nel luogo simbolo di Pechino e questo nuovo avvenimento nello Shanxi) però non possono essere considerati scollegati dal momento politico che vive il paese: un rallentamento economico che sembra sotto controllo, ma all’interno del quale sono annunciate «riforme epocali» da decidersi durante il Plenum. Un momento di passaggio che sancirà anche nuovi equilibri politici all’interno del Partito, determinando il corso cinese per i prossimi dieci anni.
Ed è nell’attuazione delle Riforme che si giocano gli scontri più forti all’interno del Partito Comunista, di cui ci si chiede lo stato dopo la feroce stagione contrassegnata dallo scandalo di Bo Xilai. La stretta ideologica di Xi Jinping avrebbe lo scopo di unire intorno a sé anche quelle frange del Partito più refrattarie alle riforme economiche. Di sicuro, inoltre, la campagna anti corruzione del Presidente, non ha lesinato la cattura di «tigri» rilevanti, creando presumibilmente una minoranza ostile a Xi nelle file dei funzionari più in vista. Zhou Yongkang ad esempio, uno dei più potenti politici del vecchio corso, sembra essere ormai nel mirino del team ad hoc voluto da Xi per indagare sui suoi affari, ma è ancora una persona potente nel Partito e in grado di muovere molti uomini.
Infine c’è la trasversale questione legata al cuore delle riforme, ovvero la presunta liberalizzazione dei settori dominati dalle aziende di stato: è lì che si annida il potere dei funzionari del Partito, in grado di dominare con il sistema economico, anche gli equilibri politici, ed è proprio lì che le ricette economiche suggerite al Comitato Centrale sembrano voler andare a colpire.
All’interno di questo mondo politico ed economico, ci potrebbe essere chi è interessato a destabilizzare leadership e paese, per bloccare dei cambiamenti che vengono dati per scontati.