All’indomani della Brexit, Federica Mogherini presenta la Global Strategy al Consiglio europeo. Non pochi i dubbi riguardo la sua attuazione.
“Mai l’Europa è stata così prospera, libera e sicura”. Non si tratta di un’epoca lontana o mitica, era il 2003, e così recitava l’incipit della Strategia Europea in materia di sicurezza (ESS), opera del primo Alto rappresentante (AR) dell’Unione europea (UE) Javier Solana. La ESS rappresentava il primo tentativo dell’Unione di dotarsi di un documento strategico che orientasse la sua politica estera, a partire dall’analisi delle sfide e dalle minacce presenti nel contesto internazionale. La cosiddetta “dottrina Solana“ riuscì a riscuotere attenzione, ma si rivelò presto inadatta ad interpretare le rapide mutazioni in atto nel sistema internazionale di inizio secolo, e fin troppo legata all’attivismo del suo autore e principale interprete. E così, mentre negli anni successivi l’Europa si scopriva sempre più povera, costretta ed insicura, la ESS rimaneva quasi la stessa. Fino ad oggi. All’indomani dell’esplosivo risultato del referendum britannico, l’attuale AR Federica Mogherini ha presentato un nuovo testo di indirizzo strategico intitolato: Shared Vision, Common Action: A Stronger Union. A Global Strategy for the European Union’s Foreign and Security Policy (EGS).
Ad eccezione di Catherine Ashton, predecessore della Mogherini, il cui mandato era stato impregnato di un realismo insulare allergico alle grand strategies, erano in pochi a mettere in dubbio che l’Ue avesse bisogno di una rinnovata strategia per la sua azione esterna. Il mondo si è rivelato sempre più connesso (che ci piaccia o no le frontiere contano sempre di meno), contestato (l’instabilità ha solo cambiato le sue forme) e complesso (la multipolarità offre poche certezze interpretative), mentre la stessa Ue cambiava nella sua composizione, architettura istituzionale e necessità. Una diversa Unione proiettata in un mondo differente non poteva che necessitare di nuovi orientamenti.
Questi, come in ogni strategia, non si limitano ad aiutare il decisore politico di fronte alla scelta delle priorità e alle conseguenti modalità di azione, ma anche a delineare e comunicare il ruolo che si vuole assumere, sia di fronte agli attori esterni, sia di fronte all’opinione pubblica interna. Si tratta perciò di un esercizio tanto politico quanto esistenziale. Ed ecco spiegata la scelta (sofferta) della Mogherini di non chiudere la EGS – risultato di un lavoro estenuante durato più di un anno e frutto di decine di colloqui con Stati membri, istituzioni Ue, stati terzi, organizzazioni internazionali e Ong – in un cassetto aspettando tempi migliori, ma di proporla comunque all’indomani della Brexit. L’AR ha voluto così dare un segnale di rilancio concreto al processo d’integrazione in uno dei suoi passaggi storici più difficili. Aver presentato il ritratto di ciò che l’Ue vorrebbe essere nel mondo, in un momento in cui molti governi e cittadini europei si interrogano sulla stessa esistenza dell’Unione, potrebbe apparire come un azzardo che rischia di gettare nel dimenticatoio la strategia, ma non farlo avrebbe sicuramente negato alla sua forza ispiratrice la finestra/opportunità spalancata dalla rottura britannica che, almeno a parole, diversi capi di stato e di governo sono parsi desiderosi di sfruttare (rimane da capire in che modo). Le differenze della “dottrina Mogherini” rispetto a quella Solana sono sia di metodo che di contenuto.
Al contrario della ESS la EGS non ha ricevuto un’approvazione formale da parte dell’ultimo Consiglio (probabilmente) a 28, che l’ha semplicemente ricevuta prendendone atto. Una scelta che se da un lato minaccia di ridurre la volontà politica offerta dagli Stati, dall’altra ha permesso all’AR una maggior libertà redazionale, sebbene dosata e concertata. Per quanto riguarda i contenuti, l’ipnotica ripetitività del gergo istituzionale dell’Ue potrebbe trarre in inganno, non facendo risaltare alcune significative aggiunte e cambi di direzione rispetto al passato. Il primo aspetto tocca la natura stessa della strategia, che si definisce “globale”, con una duplice valenza: geografica e tematica.
Se l’Ue si descrive come un attore globale con un focus regionale (le tante crisi scoppiate nel vicinato non possono che catalizzare maggiormente i nostri interessi), la globalità della sua azione aspira a concretizzarsi oltremodo nella sinergia e coerenza delle sue azioni, ancora governate da istituzioni e processi decisionali differenti. La EGS inizia esplicitando gli interessi comuni dell’Unione, identificati nella sicurezza dei propri cittadini, nella loro prosperità e nella capacità di resilienza delle democrazie europee.
Si tratta di tre fondamentali interessi interni con chiare implicazioni esterne, a cui si abbina un interesse esterno precondizione dei primi: l’affermazione di un ordine globale pacifico basato sulle regole, le istituzioni, il dialogo multilaterale e la sostenibilità ambientale. A prima vista tutto ciò può apparire scontato, ma in tempi di crisi esistenziali ricordare ciò che ci unisce non lo è, soprattutto se dagli interessi si fanno derivare delle chiare priorità d’azione. In tal senso, per la EGS al primo posto c’è la sicurezza, da ricercare in una maggior comunitarizzazione e miglior cooperazione per quanto riguarda le capacità militari, l’anti-terrorismo, la cyber security, la sicurezza energetica e la comunicazione strategica L’obiettivo è rendere l’Ue un efficace security provider all’interno come all’esterno dei propri confini.
Numerose sono poi le piccole e grandi novità rintracciabili nelle successive priorità. Tra le tante: una maggior attenzione alla prevenzione dei conflitti (ora possibile grazie alle nuove strutture del Servizio diplomatico europeo) e ai temi migratori, una più profonda descrizione delle cooperazioni regionali, una più efficiente condivisione delle informazioni, fino ad un’attenuata promozione del regionalismo ispirato al modello europeo, ritenuto non esportabile in tutti i contesti. In generale, quello che emerge dalla EGS è un maggior pragmatismo che cerca di evitare una lettura dell’eterno dilemma interessi/valore in chiave dicotomica. Sostenere gli stati terzi nei processi di democratizzazione è importante ma non è più una priorità. La EGS non sacrifica i valori che contraddistinguono l’Ue e l’Occidente sull’altare del realismo politico, ma riconosce che l’adozione di un approccio esclusivamente normativo non può prescindere dal perseguimento dei propri interessi. I dubbi disseminati dalla Strategia non sono pochi e riguardano prevalentemente le sua attuazione.
Solo la pratica, infatti, potrà sancire la bontà dell’incerto equilibrio valori/ interessi; rivelare come un’Unione – a cui la definizione di “potenza civile” inizia a stare stretta – riuscirà ad approfondire la cooperazione militare senza trovarsi impantanata nelle tante resistenze nazionali già emerse nei colloqui preparatori; rassicurare in merito alla disponibilità di risorse economiche necessarie a molte dalle azioni prospettate; testare il reale sostegno che il documento riuscirà ad assicurare alle iniziative dell’AR senza che vengano schiacciate dalla cooperazione intergovernativa del Consiglio. Il potenziale economico, diplomatico e militare dell’Ue ha pochi eguali nel mondo, ma per essere credibili, reattivi e partecipativi alle premesse bisogna combinare (ahimè, come sempre!) la volontà. Tentare di indovinare il futuro successo della EGS – che si mostra per ora simile ad un libretto di istruzioni equilibrato, completo, pragmatico, ma non eccessivamente dettagliato – svelerebbe poco più che la nostra naturale tendenza al pessimismo o all’ottimismo. Un risultato che, solitamente, si può raggiungere più facilmente e velocemente con un bicchiere.
All’indomani della Brexit, Federica Mogherini presenta la Global Strategy al Consiglio europeo. Non pochi i dubbi riguardo la sua attuazione.