COSCIENZA EUROPEA – La lezione di Brexit
È quasi ironico che nel Paese che da sempre si oppone all’integrazione europea, si stia d’improvviso sviluppando la consapevolezza di ciò che significhi essere cittadini dell’Ue
È quasi ironico che nel Paese che da sempre si oppone all’integrazione europea, si stia d’improvviso sviluppando la consapevolezza di ciò che significhi essere cittadini dell’Ue
Londra, estate 2018. In un assolato sabato mattina, una sessantina di spagnoli si ritrovano in una sala all’interno di un cortile di Portobello Road. Mentre i turisti affollano il celebre mercato, la Coalizione degli spagnoli a Londra (Coalicion de Españoles en Londres) organizza un incontro con una rappresentante dell’ambasciata. Tema della discussione: tornare in Spagna dopo la Brexit. Sembrerebbe semplice, ma le domande sono molte. Posso mantenere il sussidio di disoccupazione che ricevo in Inghilterra? Non ho sempre lavorato, avrò lo stesso il diritto alla pensione? Per quanto tempo l’attuale tessera sanitaria rimane valida?
Poche settimane dopo e al nono piano di un palazzo vicino alla stazione di Euston si riunisce un gruppo dei the3million, associazione dal nome che evoca i tre milioni di europei residenti nel Regno Unito. Il tema della discussione è simile, ma l’approccio è diverso. Questa volta si parla dei diritti per cui battersi nei prossimi mesi. Come fare a verificare che nessuno venga penalizzato dalla Brexit? Come farci riconoscere il diritto di voto? Qualcuno resterà escluso dalle elezioni europee?
Non passa settimana ormai nel Regno Unito senza riunioni, eventi, dibattiti su che cosa cambierà dopo la Brexit. La Commissione Ue ha finanziato una serie di eventi per spiegare ai residenti europei quali siano i loro diritti. Anche il sindaco di Londra, dove vivono un milione di persone provenienti da altri Paesi dell’Ue, ha lanciato un programma d’informazione sul tema, e ambasciate, associazioni e studi legali fanno la loro parte.
E’ quasi ironico che nel Paese che da sempre si oppone all’integrazione europea, si stia d’improvviso sviluppando la consapevolezza di ciò che significhi essere cittadini dell’Ue. Indipendentemente da come andrà a finire la questione Brexit, l’accordo che è stato negoziato tra Bruxelles e Londra ha messo nero su bianco le agevolazioni che consentono di trasferirsi facilmente da un Paese europeo all’altro.
L’accordo infatti prevede che gli oltre tre milioni di europei nel Regno Unito e il milione e mezzo di britannici nel resto d’Europa mantengano il diritto a vivere, studiare e lavorare nei rispettivi Paesi senza forme di discriminazione, l’accesso al sistema sanitario e pensionistico e l’aggregazione dei contributi di altri Paesi Ue in cui hanno lavorato. Anche confermati il riconoscimento delle qualifiche professionali, il diritto di ricongiungimento con partner e familiari evitando le onerose procedure burocratiche a cui sono soggetti i cittadini di Paesi terzi, nonché l’accesso al sistema sanitario di altri Paesi Ue per viaggi temporanei. E’ questo insieme di diritti che trasforma in realtà il principio della “libera circolazione delle persone”.
Ma i negoziati non hanno salvaguardato tutti i benefici attuali. I britannici residenti nel resto d’Europa si sono visti riconoscere i diritti esistenti solo nel Paese di residenza, senza automatica libertà di movimento nel resto d’Europa. Salvo accordi futuri, non potranno inoltre fornire servizi in altri Paesi Ue come lavoratori indipendenti. Perso anche il diritto di ritornare nel proprio paese con partner di Paesi terzi sotto il regime più favorevole dell’Ue (il Regno Unito ha una delle leggi più rigide d’Europa sui ricongiungimenti familiari), il diritto di partecipare alle elezioni locali ed europee e il diritto d’iniziativa legislativa presso la Commissione Ue. Quanto agli europei nel Regno Unito, dovranno far domanda e passare un controllo di sicurezza per poter mantenere la residenza, perdono il diritto automatico di ritornare a stabilirsi nel Paese dopo 5 anni di eventuale assenza, e il diritto ai ricongiungimenti familiari in base a norme europee per relazioni nate dopo la Brexit.
«Non abbiamo mai capito quanto siano fondamentali nella nostra vita i diritti che derivano dalla libera circolazione delle persone in Europa. Abbiamo sempre preso tutto per scontato», dice Axel Antoni, un consulente d’affari tedesco diventato attivista dei the3million. «In tempi non sospetti un amico inglese mi chiese perché non facessi domanda per il passaporto britannico. Gli risposi che non ne avevo bisogno, tanto avevo gli stessi suoi diritti. Dopo la Brexit ho scoperto che non era vero. Si diventa consapevoli dei propri diritti quando più se ne ha bisogno o si sta rischiando di perderli, e questo è il nostro caso».
La Brexit però riguarda anche chi non si trasferisce in un altro Paese Ue in pianta stabile, ma ci va soltanto in vacanza. Sia l’Unione Europea che il Regno Unito hanno pubblicato decine di avvisi per preparare persone e imprese all’eventualità di un mancato accordo. Centinaia di pagine spiegano le conseguenze della possibile introduzione di controlli alle frontiere. Per i viaggiatori britannici, ciò significa addio alle code separate per il controllo passaporti negli aeroporti, limiti alla quantità di denaro, tabacco, alcolici e profumi che si possono trasportare senza dichiarazione o dazi doganali, e richiesta della patente internazionale e della carta verde per l’assicurazione auto per poter guidare in altri paesi Ue. In vacanza con il cane? Il passaporto europeo per gli animali da compagnia non è più valido e certificati di vaccinazione devono essere prodotti prima di ogni viaggio. Niente più accesso libero alla sanità pubblica all’estero grazie alla tessera sanitaria europea, né protezione diplomatica da altri stati Ue dove il proprio Paese non è rappresentato. In questione anche il capitolo sulla protezione dei consumatori, ad esempio per quanto riguarda il rimborso per ritardo o cancellazione di voli, il divieto di maggiorazioni per i pagamenti con carte di credito, la cancellazione del costo del roaming internazionale per le chiamate con cellulare e la possibilità di accedere ai propri abbonamenti in Tv streaming quando si viaggia in Europa.
I diritti dei consumatori, infine, riguardano anche chi non si muove dal proprio Paese. Direttive europee sul diritto di recesso dopo l’acquisto di bene o servizi, ma anche sulla qualità dell’aria, sullo status dei lavoratori, sulla protezione della privacy e la sicurezza alimentare hanno tutte un futuro incerto nel Regno Unito. Non è un caso che subito dopo la Brexit si sia iniziato a parlare di accordi commerciali con gli Stati Uniti che consentissero l’importazione di pollo clorinato, vietato nella Ue.
Per le imprese la situazione è ancora più complessa perché non si sa quali saranno le relazioni future. Il negoziato sulle condizioni di uscita del Regno si è concentrato finora sulla protezione dei contratti esistenti e della proprietà intellettuale. Ma davanti all’incertezza futura le grandi imprese, ad esempio del settore bancario o dell’aviazione, si sono attivate per mantenere sedi e autorizzazioni operative sia nell’Unione Europea che nel Regno Unito. I più piccoli cercano invece di capire quali siano le conseguenze per questioni come i pagamenti Iva o il mancato riconoscimento dei casi d’insolvenza.
Anche in questo caso sono state lanciate campagne d’informazione a vari livelli. Il governo spagnolo e quello olandese, ad esempio, hanno avviato un programma che mira soprattutto alle piccole imprese. L’Irlanda ha stanziato fondi per aiutare le società a prepararsi alla nuova realtà e il governo delle Fiandre ha aperto un help-desk specializzato, chiedendo all’Unione Europea di stanziare ulteriori aiuti. In modo paradossale, al di là di come si svilupperanno gli eventi nei prossimi anni, la Brexit sembra avere già raggiunto un risultato: spalancare le porte della comunicazione su come funziona l’Europa.
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È quasi ironico che nel Paese che da sempre si oppone all’integrazione europea, si stia d’improvviso sviluppando la consapevolezza di ciò che significhi essere cittadini dell’Ue
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