L’annessione russa dimostra che il potere conta quanto la buona volontà.
La crisi in Ucraina e l’annessione della Crimea da parte della Russia dimostrano come le classiche dinamiche di potere in Europa resistano. Se si colloca questa crisi nel contesto delle strategie russe sulla sicurezza europea, saltano agli occhi due obiettivi: riconfigurare la sicurezza dell’Europa post Guerra fredda e i suoi equilibri di potere e mettere alla prova la tenuta delle relazioni transatlantiche tutt’altro che solide.
Dal crollo dell’Unione Sovietica, la Russia ha mirato a ridisegnare le coordinate della sicurezza europea per allinearle il più possibile ai propri interessi e ambizioni politiche. Mosca ha sempre considerato parziali gli accordi sulla sicurezza presi dopo la Guerra fredda, negoziati da una Nato allora in espansione (sopravvissuta alla dissoluzione del suo corrispettivo nel blocco sovietico, il Patto di Varsavia) e da una Ue in allargamento.
L’idea contemplata nella Carta di Parigi del 1990 di un sistema di governo europeo che coinvolgesse la Russia alla pari, non ha mai preso piede, così la Russia ha perso fiducia nei confronti dell’Organizzazione europea per la sicurezza e la cooperazione (OCSE), unica istituzione per la sicurezza europea di cui fa parte e, a suo avviso, troppo sbilanciata sul tema dei diritti umani. Non essendo riuscita a trasformarla nel fulcro delle politiche europee sulla sicurezza e a prenderne il controllo, Mosca si è limitata a intralciarne le procedure decisionali.
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L’annessione russa dimostra che il potere conta quanto la buona volontà.