Nella sfida tra bandiere, oltre ai motti del franchismo torna anche la violenza squadrista. Un rigurgito estremista che non si era visto neanche negli anni peggiori della crisi economica. Il timore è che le tensioni abbiamo scoperchiato il vaso di Pandora sigillato con la Transiciòn alla democrazia
Una dichiarazione di indipendenza. O anzi, no. Se quello che è successo ieri nel Parlamento catalano fosse avvenuto in Italia non avremmo esistato a chiamarlo commedia all’italiana. L’immagine che meglio di altre riassume la conclusione della serata –con una dichiarazione di indipendenza in differita– è quella delle migliaia di persone che ascoltavano a pochi mentri dal Parlament il discorso del presidente della Generalitat Carles Puigdemont e che, in questione di secondi, sono passate dal giubilo al silenzio e ai fischi. C’è in quell’immagine la sintesi della delusione di una parte delle molte aspettative che questa crisi ha creato, non solo nel fronte independentista.
Mentre resta l’incertezza su quello che succederà nei prossimi giorni, una cosa sembra fuori di ogni dubbio: la crisi catalana –lasciata crescere durante gli anni da un Governo che non ha saputo dare risposte ai molti segnali che arrivavano, e accelerata da una road map independentista, nata sotto il ricatto del partito anticapitalista e nacionalista della CUP e portata avanti al margine della Costituzionalità e tra mille escamotage– ha già aperto nella società catalana e spagnola una frattura che sarà difficile da sanare.
Una frattura nella quale sono riapparsi i segni e i sintomi di vecchie ferite, in un paese che oggi rimette in discussione il successo di quel processo, la Transizione, che permise un passaggio incruento dalla dittatura franchista alla democrazia.
La sfida delle bandiere che sono scese in strada in questi giorni è molto più che una dinamica da tifoserie Madrid-Barça. A Madrid, che si riempiva di rojigualdas solo per i Mondiali, ai balconi sono apparse decine e decine di bandiere spagnole, che anche a Barcellona cominciano a rivaleggiare le esteladas, il drappo dell’indipendentismo che dominava finora il paesaggio. È l’emergere di quella che per settimane si è definita come la maggioranza silenziosa, quella parte della popolazione catalana (e più in generale spagnola) che non scendeva in piazza, che non esprimeva la propria opinione, che non si opponeva apertamente alla narrativa independentista fino a punto da far sembrare quest’ultima egemonica.
E se da un lato può definirsi persino positivo un riequilibrio nella rappresentazione di una realtà che appariva come monolitica, dall’altro il contesto di estrema polarizzazione a cui si è arrivati fa sí che, assieme alle istanze legittime di chi manifesta a favore dell’unità di Spagna, siano apparsi anche segnali preoccupanti. Domenica scorsa, quando a piazza Cibeles a Madrid si concentrava il movimento per il dialogo Hablemos-Parlem (Parliamo, in spagnolo e catalano) con magliette e bandiere bianche, a pochi metri di distanza nella piazza di Colón, migliaia di rojigualdas occupavano il paesaggio in una grande manifestazione in cui si inneggiava all’unità della Spagna e alla Guardia civil. Tra i manifestanti c’erano molte famiglie con bambini, persone anziane ma anche giovani. Proprio da un gruppetto di giovani è partito un “¡Arriba España!”, uno dei più famosi motti della dittatura franchista. E tra la folla riunita, c’era chi rispondeva al grido con un sorriso di compiacimento, come se, dopo tanto tempo, fosse possibile dissotterrare le nostalgie del passato. Molti giovani c’erano anche nel gruppo di una ventina persone che il giorno prima della consultazione catalana del primo ottobre, a Cibeles, si sono Messi a cantare il Cara al sol, l’inno della Falange, con il braccio alzato e sventolando bandiere precostituzionali, al termine di una manifestazione per l’unità della Spagna.
Più grave è quello che è successo lunedì scorso a Valencia, quando un gruppo di ultrá di estrema destra ha interrotto e attaccato una manifestazione legalmente organizzata in difesa della lingua valenziana a cui partecipavano anche rappresentanti della CUP. Decine di esponenti dell’estrema destra si sono lanciati contro i manifestanti e alcuni di loro hanno preso a calci e pugni alcuni dei giovani che partecipavano alla marcia. La violencia dell’azione, registrata in vari video, riaccende i timori di un rigurgito di estrema destra che non c’era stato qui in Spagna nemmeno negli anni peggiori della grande crisi economica finanziaria.
Si è detto sempre che se non c’era un partito di estrema destra in Spagna era anche perché una parte delle istanze più estremiste era stata inglobata e assorbita da Alianza Popular prima e poi dal PP (come dimostrerebbero gli scarsi risultati elettorali della formazione ultranazionalista Vox). Ma questo non significa che la Spagna sia immune ai fantasma del passato. Ed è inevitabile chiedersi in questi giorni, se le tensioni accumulate nelle ultime settimane, non abbiano riaperto il vaso di Pandora.
@mapaone
Nella sfida tra bandiere, oltre ai motti del franchismo torna anche la violenza squadrista. Un rigurgito estremista che non si era visto neanche negli anni peggiori della crisi economica. Il timore è che le tensioni abbiamo scoperchiato il vaso di Pandora sigillato con la Transiciòn alla democrazia