Domani si vota e ai separatisti serve una vittoria tonda per costringere Madrid al dialogo. Ma si presentano divisi e un elettorato frammentato potrebbe negare loro la maggioranza, magari premiando Ciudadanos. E dopo il commissariamento, la Catalogna rischia l’ingovernabilità
Barcellona – La Catalogna si prepara a celebrare, tra ventiquattro ore, le più controverse elezioni regionali sin dai tempi della restaurazione democratica in Spagna. Per la prima volta negli ultimi 40 anni non è stato il presidente della Generalitat a convocare i comizi elettorali, ma il Governo centrale in base all’applicazione dell’art.155 della Costituzione.
A rendere ulteriormente atipico l’appuntamento elettorale ha contribuito anche il giorno fissato per la sua celebrazione: infrasettimanale, lavorativo e a ridosso del Natale, invece della tradizionale domenica.
Le forti tensioni degli ultimi due mesi sull’asse Barcellona-Madrid hanno marchiato a fuoco la campagna elettorale conclusasi nella giornata di ieri, condizionando pesantemente la composizione delle candidature del blocco indipendentista ed i programmi di governo di tutti i partiti che concorrono alle elezioni.
A differenza dell’ultima tornata elettorale del 2015, gli indipendentisti hanno optato per presentarsi ai comizi come singole formazioni politiche, mettendo in soffitta la coalizione di Junts pel Si che aveva tenuto insieme, nel corso dell’ultima legislatura, le due principali anime del fronte separatista: Esquerra Republicana ed il PDeCAT di Puigdemont.
Proprio l’ex presidente catalano si è reso protagonista di una trovata dell’ultim’ora, partecipando alle elezioni come principale candidato di Junts Per Catalunya, una lista formata da esponenti del PDeCAT e della società civile di matrice indipendentista.
L’intera campagna elettorale dei separatisti è stata improntata sulla denuncia dell’applicazione dell’art.155 e sulla restaurazione dell’ordine democratico in Catalogna, in primis attraverso la liberazione di tutti gli esponenti del destituito Governo catalano (sono ancora in carcere l’ex vice presidente Junqueras, l’ex ministro degli interni Forn ed i due leader delle principali associazioni indipendentiste).
Tutto il fronte indipendentista, compresi i radicali di Convergenza D’Unità Popolare (Cup), condivide come obiettivo primario la vittoria delle elezioni con un’ampia maggioranza, in modo da costringere successivamente il Governo di Mariano Rajoy al dialogo sull’indipendenza. Un’unità di intenti che non ha evitato, però, l’emersione di alcune profonde divisioni interne.
Puigdemont ha convertito infatti la restaurazione del suo esecutivo in un mantra elettorale, prospettiva non condivisa totalmente da Esquerra Republicana che, in caso di affermazione del blocco separatista, sembra voler reclamare spazio e poltrone per i propri rappresentanti, a partire dal leader Oriol Junqueras.
Gli ultimi sondaggi evidenziano un’elettorato estremamente frammentato, che si tradurrebbe in una Catalogna difficilmente governabile. Ciudadanos si attesta come primo partito col 25% delle preferenze, seguito da Esquerra Republicana col 23%. In terza fila si profilano invece Junts Per Catalunya ed i Socialisti, entrambi intorno al 15%. Gli indipendentisti potrebbero quindi perdere la maggioranza nel Parlamento regionale se i numeri verranno confermati alle urne, non raggiungendo la soglia minima dei 68 seggi.
La proiezione elettorale di Ciudadanos, che propone Inés Arrimadas come candidata alla presidenza della regione, rappresenta la vera novità in prossimità del voto. Insieme ai Socialisti ed ai Popolari di Rajoy, il partito del neoliberista ed europeista Albert Rivera costituisce il fronte unionista della politica catalana, che si è fermamente opposto ai propositi secessionisti di Puigdemont, giustificando il conseguente ricorso all’art.155 da parte di Madrid.
Un programma elettorale, quello di Ciudadanos, focalizzato in primis sul ricomporre la frattura all’interno della società civile catalana, ponendo inoltre, fortemente, l’accento sul ritorno alla stabilità politica nella regione come condizione fondamentale in chiave economica, frenando così la fuga di aziende dalla Catalogna (oltre 2000 imprese hanno trasferito la propria sede sociale fuori dai confini regionali).
Pur condividendo con Socialisti e Popolari la visione delle elezioni come unico strumento per riconciliare la società catalana, Ciudadanos sembra puntare chiaramente all’egemonia del fronte unionista, cercando di raccogliere ulteriori consensi in quella parte di scontenti dell’elettorato socialista, come dimostrato chiaramente dalle parole di Albert Rivera, che ha tacciato un eventuale voto ai Socialisti come “un voto alla spazzatura”.
In fondo ai sondaggi, col 5% delle preferenze, si attesta invece il Partito Popolare, che, al netto del ricorso dell’art.155 e delle violenze della polizia spagnola il giorno del Referendum, paga soprattutto l’incapacità mostrata nella gestione della crisi catalana, scoppiata nel 2010 sulla base di un ricorso di incostituzionalità presentato dai Popolari contro il nuovo Statuto di autonomia della Catalogna, poi accolto da una sentenza del Tribunale Costituzionale.
Complice la detenzione dei principali candidati dei partiti indipendentisti e l’auto esilio di Puigdemont e dei suoi 4 fedelissimi in Belgio, il fronte unionista ha potuto invece contare, durante la campagna elettorale, sulla presenza di tutti i pesi massimi della politica spagnola, da Mariano Rajoy all’ex premier socialista Zapatero, scesi in Catalogna per supportare i propri compagni di partito.
Anche la politica francese ha svolto un ruolo importante nelle elezioni catalane, facendo registrare la partecipazione dell’ex primo ministro francese, Manuel Valls, al fianco di Ciudadanos e quella di Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, a sostegno dei Socialisti.
Un capitolo distinto, in chiave elettorale, spetta invece a En Comú Podem, la coalizione a cui fanno capo Ada Colau, il potente sindaco di Barcellona, e Pablo Iglesias di Podemos, che non appoggia ufficialmente nessuno dei due principali blocchi della politica catalana. Agli unionisti viene contestata l’applicazione dell’art.155 e la successiva detenzione dei politici catalani, mentre Puigdemont è ritenuto il responsabile dell’attuale crisi politica avendo perseguito, ad ogni costo, la via unilaterale d’indipendenza.
En Comú Podem propone in primis di risolvere il conflitto catalano attraverso un Referendum concordato, incentrando buona parte del suo programma elettorale sull’agenda sociale. Le proiezioni di voto non sono altissime, intorno al 10% delle preferenze, ma potrebbero risultare decisive, in quanto a numero di seggi, al momento di stringere alleanze per formare la nuova maggioranza parlamentare.
@MarioMagaro
Domani si vota e ai separatisti serve una vittoria tonda per costringere Madrid al dialogo. Ma si presentano divisi e un elettorato frammentato potrebbe negare loro la maggioranza, magari premiando Ciudadanos. E dopo il commissariamento, la Catalogna rischia l’ingovernabilità