La linea del fronte di un’ipotetica guerra tra Stati Uniti e Corea del Nord passerà da qui. Ma la vita quotidiana con la crisi non è cambiata, racconta il console onorario italiano. Anche perché “non si può scappare, in caso di attacco i missili ci metterebbero 14 minuti a raggiungerci”
Guam è l’isola più grande dell’arcipelago delle Marianne, nell’oceano Pacifico occidentale. È il pezzo di Stati Uniti più vicino a Pyongyang, che dista dalla costa 3.300 chilometri, e ha una delle basi militari Usa storicamente più attive dell’Asia. Da qui potrebbe partire un attacco militare contro la Corea del Nord. Kim Jong-Un lo sa bene e ha ordinato di preparare un piano di attacco preventivo contro l’isola.
Tra i circa 150 mila abitanti di Guam c’è anche – da 40 anni – il fiorentino Roberto Fracassini, corrispondente consolare italiano per le isole Marianne Settentrionali. “Sono una sorta di console onorario”, spiega a eastwest.eu, “l’unico rappresentante della comunità italiana sull’isola che, stando all’ultimo rilevamento, è costituita da 26 persone. Non ho nessuna posizione governativa ma faccio parte del gruppo dei consoli internazionali che rappresentano le nazioni all’estero, come quello giapponese, filippino, coreano, cinese, della Micronesia, francese e neozelandese. Ci incontriamo regolarmente una volta al mese per discutere questioni politiche e amministrative”.
Cosa pensa della crisi tra Corea del Nord e Stati Uniti e qual è il clima che si respira sull’isola? Avete paura? La vita quotidiana è cambiata?
“No, la vita quotidiana non è cambiata. La persone sono perlopiù ottimiste. Questo perché non si può fare nulla, non si può scappare. La comunità filippina, però, che conta più di 7.000 abitanti è molto preoccupata. Il console filippino ha accennato che in caso di emergenza e necessità vorrebbe procedere con una procedura di evacuazione. Evacuazione mai accennata né dal governatore, Eddie Calvo, né dalle forze militari, perché in caso di attacco non ci sarebbe tempo. I missili coreani impiegherebbero soltanto 14 minuti per raggiungere la nostra zona. L’unica cosa che ne ha risentito è il turismo, soprattutto giapponese. Guam è come una piccola Hawaii, c’è un clima tropicale stabile tutto l’anno, perciò molti vengono qui dal Giappone e dalla Corea. C’è stato un calo del turismo giapponese del 30%. Strana situazione, perché il Giappone è in pericolo quanto noi. I giapponesi ascoltano molto i consigli del proprio governo che per il momento ha consigliato di non viaggiare nel Pacifico. Mentre il turismo coreano sta paradossalmente aumentando.”
Quali piani sono previsti per eventuali situazioni di emergenza?
“Ci sono misure soltanto di difesa. I militari rassicurano sempre la popolazione dichiarando che Guam è sicura e protetta. Nel caso di attacco missilistico, questo sarebbe abbattuto (con un’accuratezza del 90-95%) prima che possa colpire l’isola; considerando anche che, prima di arrivare, dovrebbe sorvolare il Giappone. Ma qui nessuno pensa che si possa arrivare a quel punto. L’unica cosa che veramente fa paura è che qualcuno possa sbagliare, eseguendo comandi mal recepiti. Forse vi è maggiore preoccupazione in Giappone o in Europa, in Occidente, dove le notizie internazionali enfatizzano la nostra posizione strategica come obiettivo sensibile. Tutti siamo in attesa di un mutamento, ma per ora è soltanto una guerra di parole forti tra il presidente Trump e Kim Jong-Un. Le parole sono grosse, le azioni, per adesso, meno.”
Recenti fonti del Pentagono hanno diramato un’allerta per i bombardieri nucleari B52 affinché siano pronti ad agire, anche in 24 ore. Nessuna certezza, ma molta tensione. Ha notato cambiamenti da parte delle forze militari in queste ore?
“No. Quella notizia fa riferimento a bombe atomiche che partirebbero da territorio americano, in Louisiana. Situazione praticamente impossibile. Perché se dovesse realmente partire un attacco, per questioni di vicinanza, partirebbe da qui. Così come storicamente, è dalle isole Marianne che partirono gli aerei che bombardarono Hiroshima e Nagasaki, o durante la guerra del Vietnam. Tra l’altro, la Corea del Nord potrebbe essere distrutta senza l’ausilio di bombe nucleari, basterebbero quelle normali. Ancora, qui ci sono sommergibili pronti da tempo per attaccare. Credo che le ultime notizie diffuse non siano veritiere, ma frutto di un eccessivo allarmismo.”
Come si evolverà la situazione?
“La chiave reale, come tutti dicono, è la Cina. Sono appena tornato da un viaggio a Shanghai e la Cina è veramente aperta al traffico internazionale, Shanghai è come New York. La guerra non conviene a nessuno: alla Cina, agli Stati Uniti e tantomeno alla Corea del Nord. Penso che si dovrà trovare una situazione diplomatica per la quale nessuno perderà la faccia e, si spera, anche la testa. Molto probabilmente gli Stati Uniti chiederanno interventi di protezione alla Cina, la quale vorrà in cambio facilitazioni commerciali. Qui corre voce che una delle possibili soluzioni sarebbe un’invasione cinese in Corea del Nord. Basterebbe mezza giornata e la Cina otterrebbe il territorio al confine con la Corea del Sud. Gli Stati Uniti sanno che questa sarebbe una minaccia troppo grande alla sua potenza. L’unica soluzione sarà la diplomazia ma non sarà facile”.
Potremmo definire l’epoca attuale come quella degli indipendentismi. Anche l’isola di Guam vorrebbe maggiore autonomia?
“Qui le persone stanno benissimo. Hanno i loro diritti, non ci sono cittadini di prima o di seconda classe. Seguono le regole americane in tutto e per tutto. Chiaramente, però, questa tensione internazionale influisce sull’umore dei cittadini in generale. Vi è una parte della popolazione che vorrebbe l’indipendenza. Un movimento portato avanti da alcuni professori universitari, che premendo sull’aspetto sentimentale della questione, tentano di infiammare i cuori degli studenti. Secondo me, però, mettere insieme cuore e ragione è sbagliato, perché porta solo a decisioni estreme”.
La linea del fronte di un’ipotetica guerra tra Stati Uniti e Corea del Nord passerà da qui. Ma la vita quotidiana con la crisi non è cambiata, racconta il console onorario italiano. Anche perché “non si può scappare, in caso di attacco i missili ci metterebbero 14 minuti a raggiungerci”