La crisi degli ostaggi che coinvolge da qualche giorno anche il Giappone potrebbe essere tutt’altro che esaurita. E Kenji Gotō, il giornalista freelance catturato in Siria insieme al contractor militare Haruna Yukawa, tutt’altro che vivo. In Italia, forse con un pizzico di fretta, invece si è dato per scontato l’esito della trattativa trilaterale tra Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL), Giappone e Giordania.
Le cose sono andate in modo diverso e la situazione si è fatta più intricata che mai. Cerchiamo di fare un po’ d’ordine sulla vicenda.
Chi è l’ultimo ostaggio giapponese in mano all’IS?
Kenji Gotō è un giornalista freelance giapponese. Fondatore nel 1996 dell’agenzia Independent Press, si trovava in Siria per seguire la guerra civile e rintracciare il connazionale Haruna Yukawa, un uomo che, dopo aver perso tutto, aveva cambiato nome e lavoro reinventandosi come consulente militare per le aziende giapponesi che facevano affari in Siria.
Gotō, inviato di guerra in Medio Oriente attento soprattutto ai risvolti umani e sociali dei conflitti, viene sequestrato a ottobre del 2014 da uomini probabilmente afferenti allo Stato islamico, dopo essere entrato in Siria da Kilis, nel sud della Turchia.
“Sono entrato nella zona più avanzata dei combattimenti, attraverso la cosiddetta ‘linea invisibile’”, scriveva Gotō nel suo ultimo articolo pubblicato sul sito Christian Today il 26 ottobre 2014.
Qualche giorno più tardi, il 29 ottobre, sarebbe dovuto rientrare in Giappone.
Cosa è successo negli ultimi giorni?
Nella notte tra sabato e domenica ora giapponese è stato diffuso online un secondo video rilasciato da uomini che si rifanno allo Stato islamico. In realtà si trattava di una foto di Kenji Gotō in tuta arancione da prigioniero con una foto nelle mani. In questa ultima immagine si poteva intravedere il cadavere di Haruna Yukawa. In sottofondo, una voce – attribuita a Gotō – accusava in inglese il governo di Tokyo di aver ignorato la serietà delle minacce degli uomini dello Stato islamico e di aver così “ucciso” Yukawa.

Dopo aver annunciato verifiche sull’autenticità del file, il governo di Tokyo ha “dato per buona” la versione della morte del contractor militare e denunciato la barbarie della sua esecuzione. Il primo ministro Shinzō Abe ha così promesso un impegno a tutto campo per arrivare a una rapida liberazione dell’ostaggio giapponese superstite. Abe ha anche richiesto ai suoi ministri di essere sempre all’erta per eventuali emergenze.
Nel file veniva fatta una richiesta precisa per la liberazione di Goto: niente più riscatto monetario (nel primo filmato venivano chiesti 200 milioni di dollari), ma uno scambio di prigionieri. Un do ut des definito “facile” che avrebbe dovuto coinvolgere, oltre al giornalista giapponese, Sajida al-Rishawi, “sorella” irachena detenuta in Giordania e condannata a morte in seguito a un attentato dinamitardo fallito in un hotel di Amman nel 2005.
Martedì 27 gennaio, sempre intorno alla mezzanotte ora di Tokyo, arriva la notizia di un nuovo video con ancora una volta protagonista Kenji Gotō. Questa volta con in mano la foto di un pilota giordano, Mu’ath al-Kaseasbeh, sequestrato in Siria a dicembre 2014. Dopo il video di sabato, infatti, è lecito immaginare che i rappresentanti del governo di Tokyo abbiano provato a sottoporre ad Amman la richiesta dell’IS di scarcerazione di Rishawi. Amman, forse guardando a esigenze di consenso domestico, ha deciso di inserire nella trattativa con i militanti la liberazione di Kaseasbeh.

Mercoledì 28 gennaio, il governo giordano convoca una conferenza stampa in cui si dice “pronto” allo scambio di prigionieri. Durante il suo discorso, il portavoce dell’esecutivo Mohamed al-Momani non nomina però Kenji Goto. Nel corso della giornata si rincorrono voci sulla scarcerazione di Rishawi, come sulla liberazione dei due ostaggi dell’IS.
In serata – intorno all’1 ora giapponese, le 17 ora italiana – il governo giapponese per bocca del ministro degli Esteri Fumio Kishida smentisce che ci siano state “novità rilevanti” circa la situazione dell’ostaggio giapponese in Siria. Amman, da parte sua, smentisce ogni voce riguardante la scarcerazione di Rishawi.
Cosa può succedere ora?
Nella notte italiana – prima mattina giapponese – gli uomini dello Stato islamico hanno diffuso un nuovo messaggio sui due ostaggi, una nuova conferma che Gotō sarebbe ancora vivo nelle mani dell’IS. La deadline per lo scambio di prigionieri è fissata entro il tramonto di oggi, 29 gennaio.
Tokyo potrebbe nuovamente fare pressioni sul governo giordano per accettare le nuove richieste dei sequestratori – il viceministro degli Esteri giapponese Yasuhide Nakayama si trova in questi giorni proprio in Giordania per seguire l’evoluzione della vicenda.
Comunque questa crisi vada a finire – e nonostante i limiti e la relativa ingenuità fin qui dimostrati dal governo nella sua azione diplomatica – Abe potrebbe uscirne rafforzato. Nel caso infatti Goto venisse liberato, il governo di Tokyo potrebbe attribuirsi i meriti del successo e continuare con la politica di intervento in Medio Oriente per mezzo degli aiuti economici promessi nelle scorse settimane. Inoltre verrebbe premiata la “linea dura” del governo per la quale non si può “cedere al terrorismo”.
Il caso degli ostaggi giapponesi in mano all’IS, anche nel caso dovesse risolversi per il meglio, darebbe al governo di Tokyo un motivo in più per rafforzare le politiche sull’immigrazione – in realtà già sufficientemente rigide – contro possibili “minacce terroristiche” provenienti dall’estero.
Ma l’obiettivo vero di Shinzo Abe, secondo alcuni osservatori, è la riforma della costituzione postbellica giapponese, che, in base all’articolo 9, impedisce il dispaccio di truppe militari all’estero limitando il ruolo delle forze armate nipponiche alla sola difesa del territorio nazionale. Dopo averla reinterpretata la scorsa estate per garantire al Giappone il diritto all’autodifesa collettiva, con una larghissima maggioranza nelle due camere, il primo ministro potrebbe riuscire nell’impresa che lo assilla dal suo esordio in politica: liberare il proprio paese da quel “regime del dopoguerra” che impedisce la ripresa economica e culturale del Sol Levante e ne limita le possibilità di affermazione in campo internazionale. E una conclusione drammatica della vicenda potrebbe infondere un nuovo slancio all’azione del governo.