Crisi politica: la Francia senza governo
Oltre che dai partiti del Nuovo Fronte Popolare di Jean Luc Mélenchon, la sfiducia al governo è stata votata in blocco dal Rassemblement National, dal partito di destra UDR di Eric Ciotti e da alcuni deputati indipendenti.
Michel Barnier non è più il primo ministro francese. Il parlamento ha deciso di sfiduciare il capo del governo per la seconda volta nella storia della V Repubblica, dopo che nel 1962 era toccato a Georges Pompidou. E così, la Francia si ritrova nuovamente senza governo e nel bel mezzo di una crisi politica.
Che sarebbe andata a finire così, si sapeva ormai da giorni, e più precisamente da quando il premier aveva deciso di approvare il bilancio del 2025 evitando il voto parlamentare. Barnier era a capo di un governo di minoranza e aveva scelto di ricorrere a questo stratagemma perché il Rassemblement National guidato da Marine Le Pen - che in questi mesi aveva offerto un appoggio esterno all’esecutivo - si era mostrato pronto a votare contro la legge finanziaria. Tuttavia, l’azzardo aveva finito per mettere il primo ministro in una posizione di ulteriore debolezza, dato che sia il partito di destra sia il Nuovo Fronte Popolare di sinistra avevano reagito presentando delle mozioni di sfiducia verso il governo.
Ieri, in tarda serata, la caduta del governo si è concretizzata. La mozione di sfiducia della coalizione di sinistra è stata votata da 331 deputati su 574, superando ampiamente la soglia di 288 voti necessaria per segnare la fine dell’esecutivo. Oltre che dai partiti del Nuovo Fronte Popolare di Jean Luc Mélenchon, la sfiducia è stata votata in blocco sia dal Rassemblement National, dal partito di destra UDR di Eric Ciotti e da alcuni deputati indipendenti.
Secondo quanto previsto dall’articolo 50 della costituzione francese, le dimissioni del primo ministro sono automatiche. Michel Barnier rimetterà il suo mandato nelle mani del Presidente della Repubblica, con quello che è però soltanto un passaggio formale.
Con la sfiducia di mercoledì, finisce il governo più breve dell’ultima fase politica in Francia: Barnier era andato al potere il 4 settembre ed è stato in carica per soli 90 giorni. Un dato impressionante, che mostra in maniera eloquente la fase di instabilità che la Francia sta attraversando.
Per comprendere quanto l’impasse politica sia profonda a Parigi, è sufficiente guardare al Parlamento. Dopo le elezioni legislative di luglio, la camera è divisa principalmente in tre grandi blocchi: la coalizione di sinistra di Mélenchon, l’estrema destra di Le Pen e il partito centrista di Emmanuel Macron, divisi da distanze apparentemente incolmabili. In questi mesi, il governo era sopravvissuto grazie ad un accordo tra le forze di centro e quelle di destra. Ma le prime difficoltà e i conseguenti dissidi, emersi per l’appunto con la legge di bilancio, hanno subito fatto emergere quanto questo patto fosse fragile.
Un ruolo centrale nella fase di instabilità vissuta dalla Francia ce l’ha il Presidente della Repubblica, Macron, e non soltanto per il ruolo che ricopre. È stato Macron ad indire nuove elezioni, dopo la vittoria del Rassemblement National e la cocente sconfitta subita dal suo partito in occasione delle Europee di giugno. Non è chiaro quale fosse l’obiettivo che voleva raggiungere, ma il voto ha finito per restituire un parlamento spaccato, con cui è difficile governare.
Più tardi, è stato sempre Macron a nominare Barnier primo ministro, con una decisione controversa. Le elezioni legislative erano state vinte dal Nuovo Fronte Popolare, tra l’altro dopo che la sinistra e il partito del Presidente avevano trovato un accordo in occasione del secondo turno. Ma contrariamente a quanto sarebbe stato lecito attendersi, Macron aveva scelto di affidare il governo a Barnier, un repubblicano, andando a formare un governo di centrodestra con il sostegno fondamentale del partito di Le Pen.
Con la caduta dell’esecutivo, è chiaro che le scommesse di Macron non hanno premiato. Per il Capo dello Stato, le conseguenze dirette sono ben poche: non dipende in alcun modo dal parlamento e - per quanto l’opposizione lo abbia sfidato a farsi da parte - è irrealistico pensare che possa dimettersi prima della scadenza naturale del suo mandato, prevista per il 2027. Di certo, però, le evoluzioni politiche degli ultimi mesi hanno chiaramente indebolito Macron. E hanno reso evidente come il Presidente non goda più del sostegno necessario per decidere, da solo, la direzione della politica francese.