A vederle in azione queste marionette, l’associazione immediata è con l’ ‘Opera dei pupi’ e non appena compresa la trama anche con “La Gerusalemme liberata”. Con una sostanziale differenza, però. Come nel caso dell’opera di Torquato Tasso l’evento video ed esposizione in corso al KUB, il Kunsthaus di Bregenz, il soggetto sono le crociate. Solo che, quelle messe in scena dall’egiziano Wael Shawky nella sua trilogia “Cabaret Crusades” prendono spunto dal libro dello scrittore franco libanese Amin Maalouf e dunque, come spiega il titolo: “La guerra santa dei barbari: le crociate viste dagli arabi” dalla prospettiva opposta.
In tempi di Internet, di social media, che battono per velocità qualsiasi agenzia stampa, può sembrare anacronistica, soprattutto in un museo votato all’espressione artistica contemporanea, la trattazione di un tema simile, per giunta avvalendosi di una forma/espressione teatrale che affonda le radici nei primi dell’Ottocento.
Il fatto è che il passato raccontato da Shawky è drammaticamente attuale come raccontano le cronache quotidiane. E attuali sono anche il luoghi. Oggi come allora, palcoscenico delle faide, dei tradimenti, bagni di sangue sono Damasco, Aleppo, Mossul, Baghdad, il Cairo, Gerusalemme. E infine restano sostanzialmente immutate le ragioni che armano gli uni contro gli altri: sete di potere, rivalsa, mai sopiti rancori, spesso nascosti dietro a ragioni religiose, che nessuna vera religione mai ammetterebbe . Crociati contro musulmani un tempo, oggi fondamentalisti contro cristiani.
E così Shawky in un video introduzione alla mostra spiega: “Agli occhi degli arabi Saladino è tutt’ora un eroe. Perché era riuscito a riconquistare Gerusalemme a riportarla sotto dominio musulmano. Una rivendicazione che domina oggi i dibattiti tra i musulmani. Una rivendicazione che riecheggia al tempo stesso (e ne è dunque il risvolto della medaglia, n.d.a.) le parole, il tono di Papa Urbano II che nel 1095 sollecitava i suoi argomentando così: ‘Se andrete a Gerusalemme avrete più cibo, una vita migliore e se morirete andrete in cielo’. Affermazioni che ancora oggi si sentono fare”.
All’attualità del soggetto si aggiunge lo stile narrativo: e quello favolistico scelto dall’artista è così – ed immediatamente – coinvolgente che, nonostante i dialoghi siano in arabo con sottotitoli in inglese, nelle sale del KUB si vedono anche bambini di soli cinque, sei anni rapiti dai personaggi bizzarri, dai paesaggi tutti immersi in una incessante danza di colori e luci.
Della trilogia “Cabaret Crusades” a Bregenz vengono proiettati gli ultimi due episodi: “The Path to Cairo” (che racchiude il periodo della seconda crociata, dal 1147 al 1149) e “Secrets of Karbala” (che racchiude la terza, dal 1189 al 1192, e la conquista di Gerusalemme da parte di Saladino).
Storia e arte, passato e presente, le marionette, oltre al personaggio che interpretano, sono anche la sintesi di tutto questo. I loro volti espressivi al limite del grottesco, richiamano quelli dello scultore di metà Settecento, Franz Xaver Messerschmidt così come i personaggi di fantascienza dei giorni. A fare da “stacco” anche visivo tra i due film è il materiale diverso scelto da Shawky per le marionette: per the “Path to Cairo” si tratta di ceramica, per “Secrets of Karbala” di vetro di Murano.
E visto che le star di tutta l’opera sono loro le marionette, anche la loro esposizione sottolinea questo elemento. E così, in particolare per quelle in vetro di Murano, si è deciso di metterle in mostra, come già l’anno scorso al MoMa PS1 di New York, su un supporto a forma di palcoscenico, con l’illuminazione che ne esalta forme e materiale.
Infine, a completare il percorso, e a unire artisticamente il passato con il presente sono quattro lastre di vetro bianco sui cui si trovano incise carte topografiche dei luoghi narrati (tra questi anche Babilonia, l’attuale Baghdad) e una grande scultura, un po’ uccello giurassico, un po’ aereo, caccia bombardiere o… come suggerisce il testo che descrive la scultura, uno degli aerei degli attentati dell11 settembre di 15 anni fa.
Passato e presente, così come Oriente e Occidente non si fondono solo nelle opere di Shawky ma anche nell’architettura del KUB. A progettarlo è stato l’architetto svizzero Peter Zumthor, che forse nemmeno immaginava quanto un giorno proprio questa struttura cubica, con le facciate in vetro opacizzato, potesse fondersi così magnificamente con il soggetto di una esposizione. Già perché, se da una parte il KUB è un esempio tipico della scuola architettonica del Vorarlberg, dall’altra la sua forma ricorda quella della Caaba, il luogo più sacro dell’Islam e meta dell’annuale pellegrinaggio in occasione del hajj alla Mekka.
Film, installazioni e mostra si possono visitare fino al 23 ottobre. Per informazioni http://www.kunsthaus-bregenz.at/ehtml/ewelcome00.htm
In tempi di Internet, di social media, che battono per velocità qualsiasi agenzia stampa, può sembrare anacronistica, soprattutto in un museo votato all’espressione artistica contemporanea, la trattazione di un tema simile, per giunta avvalendosi di una forma/espressione teatrale che affonda le radici nei primi dell’Ottocento.