È iniziato il processo che tra un mese darà un nuovo presidente a Cuba. Finisce sulla carta l’era dei Castro, anche se Raul rimarrà a capo del partito. Il suo successore predilige i piccoli passi, ma è capace di sorprendenti aperture. E in testa sembra avere il modello cinese
Domenica 11 marzo, anche l’uomo destinato alla presidenza è andato a votare. Alto e ben piantato, 58 anni, capelli quasi bianchi, ama vestirsi in jeans e camicia, si dice sia un appassionato dei Beatles ed è soprannominato el lindo per la sua vaga somiglianza a Richard Gere. È Miguel Díaz-Canel, attuale vice-presidente. E gli occhi sono tutti puntati su di lui.
A Cuba gli elettori sono stati chiamati a rinnovare i 605 seggi dell’Assemblea Nazionale. E 605 erano i candidati, naturalmente, tutti allineati alle direttive del Partito. Più che scegliere, il popolo ratifica. A sua volta, il 19 aprile, quell’Assemblea voterà il nuovo presidente.
Raul non vuole un nuovo mandato e sarà la prima volta dall’avvento della Rivoluzione che Cuba non avrà un Castro al comando, almeno formalmente. E il nome di Miguel Díaz-Canel è quello più gettonato.
Siccome ogni gesto della nomenclatura ha un suo significato, lui non si è lasciato sfuggire l’occasione il giorno delle elezioni. Prima sorpresa: non è andato dritto al seggio ma si è messo in fila per strada, nella sua Villa Clara, e ha pazientato una ventina di minuti, con la gente che lo salutava, gli chiedeva, lo fotografava. Seconda sorpresa: era con la moglie, la docente di cultura cubana Liz Cuesta, non proprio un’abitudine per i seriosi uomini politici cubani che preferiscono non apparire mai assieme alle compagne.
Tutti sanno che non cambierà niente a Cuba. Ma alcuni gesti di stile possono avere un sapore molto politico. La transizione che si sta consumando porterà da qualche parte oltre il castrismo, ma sarà ordinata, controllata, severa ed estenuante. Almeno questo sembra il progetto. Anche se Miguel Díaz-Canel sarà il nuovo volto dell’isola, Raul Castro rimarrà fino al 2021 a capo del Partito Comunista, vera autorità politico-istituzionale e della Junta Militar, organo informale che sancisce l’altro grande (vero) potere, anche economico, del Paese caraibico.
Dunque, chi è Díaz-Canel? Appartiene innanzitutto alla prima generazione nata dopo il trionfo del castrismo. Ingegnere elettronico, ha insegnato nella sua università e ha percorso tutti i gradini della carriera politica. Nel 1994 è nominato segretario del partito a Villa Clara e ci è rimasto fino al 2003, negli anni durissimi della crisi economica e del periodo especial. Poi è trasferito a Holguin con lo stesso ruolo.
Entrato nel Buró politico, nel 2009 Raul Castro lo nomina ministro dell’Educazione superiore. Lo mette alla prova. E quattro anni dopo ne diventa il primo vice. «Non è un novizio, né un improvvisato», lo ha battezzato il vecchio leader, lodandone lealtà e «fermezza ideologica».
Un grigio burocrate? Piuttosto un uomo paziente e che medita molto bene tutte le mosse. È anche l’unico dei dirigenti della sua generazione arrivati ai vertici del potere che non si sia bruciato. Non ha fatto la fine di altri tre enfant-prodige del regime, Carlos Lage, ex-vice presidente e i due ministri degli Esteri Roberto Robaina e Felipe Pérez Roque, tutti epurati.
È un politico che sa dosare e soprattutto sa farsi invisibile. Al seggio, domenica, ha avuto parole durissime contro gli Stati Uniti e ha sfoggiato tutta la retorica contro l’imperialismo. Ma era come una liturgia. Sono in molti a descriverlo come un uomo che sa ascoltare e che sa essere sencillo, attento, sensibile a ciò che si muove. Nella sua città tutti lo ricordano in quegli anni terribili di miseria che si muoveva in bicicletta da un capo all’altro della città, da un comitato a un cantiere, una scuola o un negozio. Altra cosa inusuale per un burocrate.
Di più, Juan Orlando Pérez della rivista digitale El estornudo (molto conosciuta e messa al bando a Cuba giusto a fine a gennaio di quest’anno), ricordava come a Santa Clara Díaz-Canel si fosse fatto «una certa reputazione di liberale e illuminato, al meno rispetto agli energumeni che lo avevano preceduto e a quelli toccati in sorte a province meno fortunate. Non che Villa Clara si fosse convertita nel Mussachussetts sotto il suo comando – continua il giornalista – però Díaz-Canel ha tollerato gli spettacoli di drag queen nel celebre club El Mejunje e il laborioso giornalismo investigativo del programma radiofonico Alta Tensión, due rarità a Cuba». Soprattutto negli anni ’90.
Allora come oggi, sembra l’uomo dei piccoli passi. E dei gesti, appunto, come spazi politici. Tutti misurati e controllati e inquadrati nell’ordine dell’esistente. È qualcosa che assomiglia al modello cinese. «Un socialismo prospero e sostenibile», lo ha definito lui in un recente intervento al parlamento. Se qualcosa turba l’ordine, la sua voce è implacabile. Lo si è visto anche in occasione delle elezioni municipali di ottobre.
Allora la piattaforma di dissidenti #Otro18 ha tentato un approccio diverso alla transizione: sfruttare tutte le leggi per iscrivere candidati indipendenti e provare ad essere eletti, a bucare il regime da dentro. Un’operazione ambiziosa.
Proprio in quell’occasione, si è visto un Díaz-Canel senza il suo abituale sorriso caldo e accogliente: «Se escono delegati – lo si è sentito dire a una riunione politica – entrano all’Assemblea Municipale e possono arrivare a quella provinciale e nazionale e sarebbe un modo per legittimare dentro la nostra società civile la contro-rivoluzione». E aggiungeva: «Ora stiamo facendo tutti i passi necessari per screditare questa possibilità». Dei 170 pronti (sembra) a presentarsi, nessuno è passato al voto per alzata di mano delle assemblee di vicinato, sotto il controllo dei Comitati di Difesa della Rivoluzione e dopo varie retate della polizia.
Cuba ha un lungo cammino di fronte a quello che il giovane scrittore Carlos Manuel Álvarez ha definito “un socialismo trasnochado”, insonne, da ore piccole, e apertamente superato “e che forse già non è neppure una cosa simile”.
@fabiobozzato
È iniziato il processo che tra un mese darà un nuovo presidente a Cuba. Finisce sulla carta l’era dei Castro, anche se Raul rimarrà a capo del partito. Il suo successore predilige i piccoli passi, ma è capace di sorprendenti aperture. E in testa sembra avere il modello cinese
Domenica 11 marzo, anche l’uomo destinato alla presidenza è andato a votare. Alto e ben piantato, 58 anni, capelli quasi bianchi, ama vestirsi in jeans e camicia, si dice sia un appassionato dei Beatles ed è soprannominato el lindo per la sua vaga somiglianza a Richard Gere. È Miguel Díaz-Canel, attuale vice-presidente. E gli occhi sono tutti puntati su di lui.