Il giorno fissato è il 23 giugno. I cittadini britannici diranno sì o no alla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea, una prospettiva i cui effetti andranno di certo ben oltre il Canale della Manica. E una prospettiva che Svezia e Danimarca si augurano di non dover affrontare.
Nel quadro incerto che seguirebbe il divorzio tra Londra e Bruxelles, infatti, l’unica cosa su cui tutti sono pronti a scommettere è questa: si aprirà una stagione di grande incertezza. Si entrerebbe in un territorio legislativo inesplorato, andrebbero ricostruiti rapporti, contratti già sottoscritti potrebbero essere messi in dubbio. Andrebbe ripristinato un quadro normativo per la vendita delle merci e l’interscambio di servizi sarebbe ancora più complesso da disciplinare.
La Danimarca con il Regno Unito ha rapporti commerciali piuttosto stretti e di vecchia data: c’è chi esporta cibo e c’è chi alla Gran Bretagna vende pale per impianti eolici. Dice il Centro Statistico danese che ogni mese quasi 270 milioni di euro in beni di vario genere vanno dal Regno Unito alla Danimarca, e poco più di 400 milioni fanno la strada in direzione contraria.
Anche la Svezia si è fatta qualche calcolo per capire quali sarebbero gli scenari. A marzo la Camera di Commercio ha ricordato come quello britannico sia il quarto partner commerciale della Svezia in quanto a esportazioni, e il primo per quanto riguarda l’area di Stoccolma. L’anno scorso sono partiti alla volta della Gran Bretagna prodotti per un valore superiore ai nove miliardi di euro.
La regione di Stoccolma, che nel 2015 da sola ha esportato tre miliardi di euro in beni e servizi verso il Regno Unito, potrebbe compensare almeno in parte le perdite dando ospitalità alle aziende multinazionali che da Londra cercheranno nuovi lidi per installare i loro quartier generali: ma si tratta di una battaglia da combattere contro nazioni come Svizzera, Irlanda, Hong Kong e i cui risultati, neanche a dirlo, sono tutto tranne che sicuri.
Ci sono pochi dubbi invece sulle conseguenze politiche: sia quelle dentro le mura domestiche di Danimarca e Svezia, sia quelle a livello europeo. Copenhagen e Stoccolma fanno parte del gruppetto di alleati con cui Londra è sempre andata particolarmente d’accordo. VoteWatch Europe, un’organizzazione che fornisce statistiche e informazioni sull’attività legislativa del Parlamento europeo, ha mostrato come la Svezia abbia votato come il Regno Unito nell’89 per cento dei casi. Con la Danimarca si scende giusto un po’: 88 per cento. Tra i due paesi si piazza l’Olanda con l’88,5 per cento, altro storico alleato di Londra quando si tratta di far valere i propri interessi a Bruxelles. Le percentuali sono alte nel caso di tutti i paesi dell’Unione, vero, ma in cima alla lista ci sono le due nazioni scandinave e quella olandese.
Senza più Londra, quindi, Copenaghen e Stoccolma perderebbero il più importante dei loro alleati, un alleato con cui gli interessi coincidono spesso e volentieri: mercato comune, concorrenza, immigrazione. Inoltre (e non è un dettaglio) si tratta di paesi che fanno parte dell’Unione europea ma che hanno deciso di non adottare la moneta comune: senza l’appoggio britannico, la voce dei paesi fuori dall’eurozona finirebbe con l’essere più debole.
E poi ci sono gli effetti sulla politica interna, e che vanno calati in un quadro nel quale il progetto europeo sembra già soffrire di una certa debolezza. Lo scorso dicembre, i cittadini danesi sono stati chiamati in causa in un referendum: la domanda era se rendere automatica o meno l’approvazione di diverse leggi europee su sicurezza e cooperazione giudiziaria. Hanno vinto con il 53 per cento quelli che hanno preferito mantenere autonomia. Il principale partito di governo, quello Liberale del premier Lars Løkke Rasmussen, aveva fatto campagna in senso opposto. Ha vinto invece la linea del Partito Popolare Danese, che ha sempre avuto posizioni spiccatamente euroscettiche.
E la Svezia? Secondo un sondaggio pubblicato a metà aprile, solo il 39 per cento pensa che Stoccolma faccia bene a far parte dell’Ue. Rispetto all’autunno dell’anno scorso il cambiamento è notevole, se si considera che la percentuale era al 59. Colpa della crisi degli immigrati ma anche di quello che succede e potrebbe succedere a Londra. Se si chiede agli svedesi cosa farebbero in caso di Brexit, infatti, solo il 32 per cento dice che voterebbe per restare nell’Unione europea.
A Stoccolma, l’euroscetticismo avvicina i due estremi dell’arco politico: le critiche più aspre nei confronti di Bruxelles arrivano infatti dal Partito della Sinistra e dai Democratici Svedesi (destra), il cui leader Jimmy Åkesson ha già detto di voler organizzare anche in patria un referendum sul modello di quello britannico. Tutti gli altri partiti invece sperano che il Regno Unito resti dov’è. Se Londra se ne va, il dibattito sulla permanenza della Svezia nell’Unione europea subirà certamente un’impennata, aprendo scenari da effetto domino. C’è già il nome: Swexit.
Il giorno fissato è il 23 giugno. I cittadini britannici diranno sì o no alla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea, una prospettiva i cui effetti andranno di certo ben oltre il Canale della Manica. E una prospettiva che Svezia e Danimarca si augurano di non dover affrontare.