Sono trascorsi diversi giorni dagli attacchi di Copenaghen, ma la Danimarca resta sotto shock. La sparatoria al centro culturale Krudttønden, dove era in corso un dibattito su islam e libertà di espressione, e quella alla casa ebraica di Krystalgade, dove si celebrava un bar mitzvah, hanno sconvolto l’opinione pubblica. Il bilancio è tragico: due innocenti uccisi, cinque poliziotti feriti, il presunto colpevole Omar Abdel Hamid El Hussein eliminato dalla polizia.

Certo, la polizia e la PET (il servizio di intelligence interna) erano consapevoli del rischio di attentati terroristici di matrice islamista. Nel sito della PET, tra gli obiettivi potenziali del terrorismo islamista, sono citati i mezzi di trasporto pubblico, gli hotel, i centri commerciali, nonché “persone e luoghi collegati ai fumetti che ritraggono il Profeta” (nessuna menzione, invece, di sinagoghe e centri di cultura ebraica).
Ma come ha spiegato alla BBC Hans Jorgen Bonnichsen, ex capo operativo della PET, “da vent’anni non si verificava un atto terroristico fatale, e molti danesi erano immersi nell’idea fiabesca di vivere totalmente al sicuro. Con gli attacchi di Copenaghen l’innocenza della Danimarca è stata ferita, e siamo tutti sconvolti”. Le parole di Bonnichsen trovano conferma nelle testimonianze raccolte da East parlando con comuni cittadini danesi. Alcuni si dicono “distrutti dal dolore”, altri “profondamente rattristati”, altri ancora “molto spaventati”.
«I danesi non sono israeliani, e nemmeno americani. Non sono mica abituati alla violenza. – dice a East un diplomatico italiano che ha trascorso anni presso l’ambasciata italiana a Copenaghen – La loro reazione agli attacchi è prevedibile. Faranno fronte comune contro la minaccia del terrorismo. Perché al di là delle apparenze, sono un popolo molto coeso e nazionalista. Basti pensare che ancora gli brucia la sconfitta subita per mano della Prussia nel 1864».
Gli attacchi di Copenaghen hanno costretto i danesi a interrogarsi sulla vera natura del loro paese. Ad esempio su quanto sia diffuso l’antisemitismo. “Quando si attacca la comunità ebraica, si attacca la nostra democrazia, l’intera Danimarca è sotto attacco. – ha dichiarato il primo ministro socialdemocratico Helle Thorning-Schmidt – Faremo tutto il possibile per proteggere la nostra comunità ebraica”. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha invitato gli ebrei danesi tornare in Israele, come hanno giù fatto migliaia di ebrei francesi nel 2014. Ma gli ebrei danesi hanno risposto “no grazie”.
Benché l’antisemitismo stia aumentando, i danesi non sono un popolo antisemita. Anzi: secondo l’Anti-Defamation League (ADL), solo il 9% di loro nutre pregiudizi antisemiti, contro il 24% della media dell’Europa occidentale. Gli ebrei danesi però sono molto preoccupati. «La crescita dell’antisemitismo in Danimarca è correlata al 100% con l’aumento della popolazione musulmana nel paese, e in generale in Europa occidentale. – è l’opinione del noto giornalista Jeppe Juhl, ebreo e portavoce della comunità ebraica danese – Purtroppo molti musulmani considerano gli ebrei europei personalmente responsabili di quel che accade in Medio Oriente».
In effetti l’antisemitismo è diffuso tra gli immigrati e i danesi di origine araba. Che, a loro volta, sono spesso vittima di razzismo e xenofobia. In un’indagine del 2009 dell’Agenzia per i diritti fondamentali della UE, il 46% dei nordafricani e il 42% dei turchi residenti in Danimarca ha dichiarato di aver subito discriminazioni. Il rapporto del commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks sulla Danimarca segnala “la continua presenza, nel discorso pubblico, di discorsi razzisti e che stigmatizzano i musulmani, o persone percepite come tali”.
Al pari di quanto accade in molte altre parti d’Europa, secondo il commissario pure la destra populista danese ha fatto uso di retorica anti-musulmana per ottenere guadagni politici. «È vero che molti politici danesi ritraggono i musulmani in cattivo modo. – dice a East Peter Dahler-Larsen, docente del dipartimento di scienze politiche dell’Università di Copenaghen – Il punto è che pochi individui vengono stereotipizzati e trasformati in simbolo di un’intera categoria etnica e religiosa. Peraltro non stupisce che dopo il crollo del comunismo fosse necessario un’altra rappresentazione del Nemico. I musulmani svolgono quel ruolo».

I giovani danesi musulmani sono i più sensibili all’islamofobia. Lo dice ad East Reema, studentessa laureanda con passaporto danese, ma figlia di pakistani. «Cresciamo con il mito di una nazione aperta e creativa, dove sembra che ci siano opportunità per tutti. Ma non è così. Se sei musulmano o arabo la gente è diffidente a priori, ancora prima di sapere chi sei. Lo trovo profondamente ingiusto, non è questa la democrazia danese che mi piace».
A differenza di Reema, non tutti arrivano alla laurea. Magari neanche al diploma. Come il ventiduenne El Hussein. Un ragazzo intelligente, riportano i giornali danesi, sempre pronto a discutere del conflitto israelo-palestinese, ma incapace di finire le scuole superiori. Nel romanzo “L’immigrato” (Iperborea) il giornalista Olav Hergel descrive lo stato d’animo diffuso tra i giovani di origine straniera: “covava una rabbia repressa per il fatto di sentirsi imprigionato nella sua irrimediabile condizione di immigrato, per quanto i suoi genitori avessero un lavoro fisso, una casa di proprietà, due figli e pagassero il 48% di tasse”.
L’adesione di El Hussein all’islamismo radicale avrebbe avuto luogo in prigione, dove era finito per l’accoltellamento di un coetaneo. Sembra che dopo la prigione volesse partire per la Siria e arruolarsi nelle fila dell’Isis, al pari di oltre cento giovani immigrati o figli di immigrati che, secondo le stime del PET, sarebbero partiti per la Siria dal 2012 a oggi. Alla fine però anziché in Siria, El Hussein ha preferito impugnare le armi in Danimarca.
Molti esperti però tendono a vedere le radici del gesto di El Hussein più nella frustrazione che nel fanatismo. “Non era un islamista intellettuale con una lunga barba. – ha dichiarato il sociologo Aydin Soei, che lo aveva conosciuto nel 2008 in qualità di membro di una gang– El Hussein era un perdente del ghetto molto arrabbiato con la società danese”. Con East il politologo Gorm Harstem dell’Università di Aarhus osserva: «Vari esperti di terrorismo, incluso me, ritengono che gli attacchi a Parigi e Copenhagen siano stati compiuti da giovani che erano criminali anomici più che terroristi professionisti impegnati in una guerra globale. Non sono minimamente ai livelli di preparazione dei membri di Al Qaeda o dell’ISIS, anche se dicono di agire per conto loro. Sanno assai poco di Islam, e niente di teologia e storia islamica».
Finora i danesi non sono caduti nella trappola della “colpa collettiva dei musulmani”. Una manifestazione anti-Islam del 16 febbraio organizzata dal gruppo anti-Islam Pegida è stata un fiasco. Dozzine di imam hanno visitato la sinagoga di Copenaghen, in segno di solidarietà. «Il primo ministro ha dichiarato dopo gli attacchi che dovremmo continuare a vivere come abbiamo sempre vissuto. E c’è un forte sentimento di unità oltre le differenze etniche, dal momento che siamo tutti cittadini danesi. – dice a East Trine Villumsen Berling, esperta di sicurezza dell’Università di Copenaghen.
Pochi giorni fa è stato annunciato un “pacchetto sicurezza” di 130 milioni di euro per rafforzare PET e polizia. Ma si parla anche di approvare misure di controllo insolite per la Danimarca, ad esempio un registro dei cellulari prepagati. «Bisogna agire, senza eccedere però. – continua la Villumsen Berling – È in corso un dibattito su una nuova proposta del governo, che potrebbe sembrare una minaccia alla nostra democrazia liberale: permettere all’intelligence di sorvegliare i danesi all’estero senza un ordine della magistratura».
Per Dahler-Larsen tra le conseguenze degli attacchi ci saranno «più sorveglianza delle persone sospette, più polizia e armi per la polizia. Ma il dibattito politico è in evoluzione. Di recente un filosofo danese ha osservato che non si è trattato di terrorismo, ma di due omicidi. Se quest’idea dovesse prevalere, le conseguenze politiche non sarebbero quelle convenzionalmente usate contro il terrorismo. Ma è probabile che alla fine comunque il “paradigma terroristico” sarà quello dominante».
Sono trascorsi diversi giorni dagli attacchi di Copenaghen, ma la Danimarca resta sotto shock. La sparatoria al centro culturale Krudttønden, dove era in corso un dibattito su islam e libertà di espressione, e quella alla casa ebraica di Krystalgade, dove si celebrava un bar mitzvah, hanno sconvolto l’opinione pubblica. Il bilancio è tragico: due innocenti uccisi, cinque poliziotti feriti, il presunto colpevole Omar Abdel Hamid El Hussein eliminato dalla polizia.