Le nuove tariffe doganali risparmiano a parole Messico e Canada, ma avviano uno scontro duro con la Ue, che potrebbe danneggiare in primis produttori e consumatori statunitensi. E mettono a rischio molti posti di lavoro. La Cina invece viene solo sfiorata dall’offensiva di Trump
Circondato da un gruppetto di lavoratori dell’acciaio, il presidente Donald Trump ha firmato giovedì 8 marzo per imporre dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio importati.
Negli Stati Uniti plaudono l’industria dell’acciaio e dell’alluminio, alcuni sindacati e i 150-350.000 lavoratori del settore, con cui Trump si era impegnato in campagna elettorale. Sono invece allarmati i più di 2 milioni di lavoratori delle industrie che utilizzano direttamente l’acciaio, dalla birra alla costruzione, e tutti i consumatori. In un giorno in borsa il settore metallurgico ha guadagnato $1 miliardo di capitalizzazione mentre tutti gli altri hanno perso $400 miliardi.
Soprattutto, fuori casa le tariffe hanno il potenziale di scatenare rivalse a cascata e di alterare l’ordine del commercio internazionale così come si è configurato da poco più di dieci anni.
La proclamazione ha messo in seria agitazione tutti i Paesi che commerciano con gli Usa. Canada, Brasile, Europa, Messico, Australia e Giappone hanno dichiarato inaccettabili i dazi, tanto più che, in quanto giustificati dagli Usa come una questione di sicurezza nazionale, non potranno essere impugnati nel quadro del Wto.
“Solleva un polverone et impera negoziando con partner irritati” è ancora una volta lo stile di Trump, che a parole esenta Messico e Canada. Il Canada copre il 59% dell’acciaio importato dagli Usa e, come il Messico, beneficia enormemente del Nafta che si rinegozia in questi giorni. Anche gli Stati Uniti ne hanno beneficiato triplicando il commercio con i vicini. «Se otterremo un accordo [favorevole entro la fine del mese] non ci saranno tariffe, altrimenti lo abbandoneremmo», ha annunciato Trump.
Trump concede quindi a Canada e Messico 15 giorni per cedere nella trattativa Nafta, ma il negoziato richiederà ancora molti mesi. E visto che alle imminenti elezioni in Messico potrebbe vincere il candidato ostile agli Usa López Obrador, non definire ora la trattativa fa correre agli Washington il rischio di riprenderla in condizioni politiche molto più difficili.
La possibilità che gli Usa abbandonino il Nafta ha allarmato anche economisti vicini al presidente. «Se lo facesse precipitare, la storia dell’acciaio diventerebbe una grande calamità per la nostra economia», ha dichiarato ad esempio Larry Kudlow . Critica condivisa da molti esponenti dello stesso partito repubblicano, come il presidente della Camera Paul Ryan o l’ormai ex primo consigliere economico, Gary Cohn, che l’altro ieri si è dimesso. Molti hanno ricordato l’esperienza negativa dei dazi imposti da Bush nel 2002 (e cancellati l’anno dopo) e avrebbero approvato misure chirurgiche contro l’export di acciaio sussidiato cinese, che sarebbe il vero problema. Per questo già nel 2016 Barack Obama aveva imposto tariffe del 500% su alcuni prodotti metallurgici facendo calare l’import cinese di due terzi.
Nel frattempo, la Cina ha reindirizzato l’export verso altri 220 Paesi e oggi è solo l’undicesimo fornitore degli Usa. È probabile quindi che Pechino non reagisca subito ma a mente fredda e giocando quattro forti carte: la produzione di miglio Usa che compra per quasi il 50%, la soia di cui è il maggiore compratore al mondo, l’acquisto di buona parte dei rottami metallici Usa e quella ce pesa di più: il fatto essere il maggiore detentore mondiale di debito del Tesoro Usa.
A parte annunciare i dazi durante la visita alla Casa Bianca del Consigliere economico cinese e ripetere che «la Cina sfrutta gli Usa», Trump è stato però quasi conciliatorio con Pechino precisando che «sono in corso negoziati» e che «stimo molto il presidente Xi Jinping».
Non così con la Ue. Dopo aver accusato la Germania di derubare gli Usa con il dumping di prodotti tedeschi, giovedì ha tirato fuori la sua carta: sarà flessibile con i veri amici, ossia quelli che non sono morosi o contribuiscono meno degli Usa alla Nato (4,3% del Pil) come la Germania (1% del Pil).
Per l’Europa trovare nuovi sbocchi al suo acciaio richiederebbe un tempo che non ha e metterebbe definitivamente in ginocchio certi poli già sofferenti per la sovrabbondanza di offerta nel mondo e la loro bassa redditività. «Non mi piace usare il termine “guerre commerciali” ma questo comportamento non può essere definito altrimenti», ha detto a caldo il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker. La Ue potrebbe rivalersi con tariffe su importazioni care ai repubblicani, quali le Harley Davidson che si producono nel Wisconsin di Ryan o il bourbon del Kentucky, lo Stato dell’influente capo della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, oltre ad altri 200 prodotti del made in Usa individuati dalla commissaria Cecilia Maelstrom.
Trump ha risposto in un tweet che in caso di dazi Ue sarebbe pronto a tariffe puntive anche sulle auto europee, in primis tedesche. Molte case però, tra cui la Bmw, producono già negli Usa esportando circa il 70% della produzione. Penalizzandole Trump metterebbe a repentaglio migliaia di posti di lavoro negli Stati Uniti. Gli alleati traditi potrebbero anche fermare gli investimenti tanto vantati da Trump, come ha fatto subito la svedese Electrolux rimandando $250 milioni destinati al Tennessee.
L’auto e il settore metallurgico, che va dalla materia prima più grezza ai semilavorati, dai materiali per la costruzione e le infrastrutture a sofisticati componenti di auto e all’alluminio alimentare, sono un buon esempio di quanto nel commercio globale non ci siano relazioni lineari ma complesse catene di approvvigionamento. L’approccio della Casa Bianca alla Ue, con bastoni e carote politici e commerciali, può mettere i partner su una strada accidentata, se non altro perché Trump non può imporre dazi a un singolo Paese membro.
In più, l’ulteriore deprezzamento del dollaro rafforzerebbe l’euro penalizzando ancora di più l’export europeo. Il presidente della Bce, Mario Draghi, ha detto di temere un impatto sui tassi di cambio e sulla fiducia nei mercati. Per i Paesi che pagano il debito sovrano e del commercio in dollari, ciò potrebbe essere un vantaggio ma molti, che hanno le riserve in dollari, si indebolirebbero.
È il caso del Brasile che esporta negli Usa circa il 12% del suo acciaio «E non ruba posti di lavoro» data la tipologia dei prodotti, dichiara Alexandre Lyra dell’Istituto dell’acciaio brasiliano. «I produttori cercheranno mercati fuori dagli Usa e ci sarà un eccesso di offerta con una caduta dei prezzi nel mondo». Paradossalmente, spiega Lyra, negli Usa succederà lo stesso perché i prezzi domestici più alti attireranno nuove produzioni portando a un eccesso di offerta e a una nuova caduta dei prezzi dell’acciaio Usa.
Trump ha anche spiegato che mira a deficit o surplus a specchio tra i Paesi. Ma “il commercio consiste in milioni di operazioni di compravendita tra singoli e società presumibilmente a beneficio di entrambi”, scrive il Wall Street Journal. “Anche un deficit di 100 miliardi genera un’enorme quantità di attività commerciale che a sua volta crea posti di lavoro per milioni di americani”, spiega il giornale nella sua pagina degli editoriali, criticando il fatto che Trump veda “il commercio come un gioco a somma zero dove il surplus va a chi vince”.
La filosofia commerciale di Trump potrebbe colpire anche gli angoli più remoti del mondo, per esempio il Cile, dove nella stessa giornata 11 Paesi, tra cui Australia, Canada, Messico e Giappone hanno firmato una versione rivista del Trattato Trans-Pacifico (Tpp) che cancella molti dazi tra i Paesi pacifici e che Trump ha abbandonato un anno fa.
Dal Cile, un importante distributore di equipaggiamenti per l’industria del rame mi scrive: “Anche qui potrebbe sentirsi l’impatto perché l’acciaio che andava verso gli Usa inonderà altri mercati, tra cui il piccolo Cile. Dal punto di vista del consumatore questo è molto buono perché qui i prezzi scenderanno. Sarà negativo per la Società cilena dell’Acciaio perché avrà più concorrenza. Dovremo proteggere il settore manifatturiero cileno? Assolutamente no, perché, come diceva Adam Smith, bisogna proteggere sempre il consumatore. Quando si protegge il produttore si genera mercantilismo (da non confondersi con capitalismo), che porta corruzione e invece di beneficiare i tanti beneficia solo pochi”.
@GuiomarParada
Le nuove tariffe doganali risparmiano a parole Messico e Canada, ma avviano uno scontro duro con la Ue, che potrebbe danneggiare in primis produttori e consumatori statunitensi. E mettono a rischio molti posti di lavoro. La Cina invece viene solo sfiorata dall’offensiva di Trump