Esattamente un anno fa Modi annunciava la demonetizzazione del Paese facendo sparire dal mercato l’86% delle banconote. Per l’opposizione è il black day, l’inizio del disastro e del credit crunch. Per il governo il sogno della cashless economy è sempre più vicino
Precisamente un anno fa, alle 8 di sera dell’8 novembre 2016, il primo ministro indiano Narendra Modi annunciò la messa fuori corso, dalla mezzanotte del medesimo giorno, di tutte le banconote da 500 e 1000 rupie, pari all’86% della cartamoneta in circolazione in tutta l’India. La misura a sorpresa, battezzata demonetizzazione, avrebbe dovuto contrastare duramente una serie di problemi di primo piano – evasione fiscale, fondi neri, contraffazione di banconote, terrorismo – grazie al setaccio obbligatorio delle banche e degli uffici postali di tutto il Paese, dove occorreva recarsi per depositare o cambiare le banconote fuori corso per mantenerne il valore nel proprio conto in banca. (Reportage: Una giornata in coda in banca a New Delhi).
Dopo un anno, è tempo di bilanci, partendo da alcuni fatti incontrovertibili. La demonetizzazione si è abbattuta violentemente sul segmento più indigente della società indiana, rendendo inizialmente impossibile l’accesso al credito per centinaia di milioni di indiani residenti in campagna, facendo saltare le «buste paga» dei lavoratori giornalieri e di tutto quell’immenso settore produttivo dell’«economia informale» – il 90% della produttività indiana – basato su transazioni in contanti. Un disagio macroscopico che ha avuto effetti nefasti sulla crescita del Pil nazionale, rallentata di oltre due punti percentuali dal 7,9 al 5,7 per cento.
Come spiega questo fact checking pubblicato dall’emittente televisiva NDTV, di tutte le banconote ritirate tra l’8 novembre e il 31 dicembre 2016 – ultimo giorno utile – il «black money» caduto nella rete della demonetizzazione ammonta a un misero 2% del totale, contro il 25% inizialmente previsto dal governo Modi.
Uno dei virtuosi effetti collaterali che, secondo il governo, la demonetizzazione avrebbe portato era l’avvento della cosiddetta «cashless economy», ovvero spingere sulle transazioni telematiche – carte di debito, di credito, app di pagamento istantaneo via smartphone accoppiate al proprio conto in banca – riducendo al minimo l’utilizzo di denaro contante difficilmente tracciabile. Senza contare le centinaia di milioni di persone di cui sopra, sprovviste di carte di credito/debito e spesso anche di conto in banca, nei mesi immediatamente successivi alla demonetizzazione chi poteva ha approfittato delle opzioni «cashless» ma, come spiega Firstpost in un articolo dello scorso mese di aprile, non appena le nuove banconote da 2000 e 500 rupie hanno ricominciato a circolare capillarmente nel mercato indiano, la tendenza si è di nuovo invertita, con sempre più persone – compreso chi scrive – tornate comodamente al caro vecchio contante.
Nonostante quanto sopra, il governo Modi nei giorni precedenti l’anniversario si è rivendicato la bontà di una manovra che secondo il ministro delle finanze Arun Jaitley non solo è stata un successo, ma: «L’8 novembre 2016 sarà ricordato come uno spartiacque nella storia dell’economia indiana. In generale, non è scorretto dire che il Paese è progredito verso un sistema finanziario decisamente più onesto, pulito e trasparente».
Le opposizioni, Indian National Congress in testa, parlano invece di un disastro di portata epocale. Durante una delle sue rarissime apparizioni pubbliche, l’ex primo ministro indiano ed economista Manmohan Singh, parlando della demonetizzazione ispirata a Modi da una presentazione powerpoint fatta da un ingegnere meccanico, ha dichiarato: «Ripeto quello che ho già detto in parlamento: si è trattato di una razzia organizzata, di un saccheggio legalizzato». Nello stesso intervento in parlamento citato da Singh, l’ex primo ministro predisse con diversi mesi di anticipo il rallentamento di due punti percentuali della crescita del Pil indiano.
Durante il comizio tenutosi nella giornata di ieri in Gujarat – dove si andrà al voto nel mese di dicembre – Singh ha spiegato che, a causa del «credit crunch» portato dalla demonetizzazione, gli indiani si sono rivolti in massa all’importazione di prodotti dalla Cina, aumentate del 23% rispetto all’anno precedente. Per le opposizioni la giornata di oggi sarà ricordata come il primo anniversario del «black day» per l’economia e la democrazia indiana.
@majunteo
Esattamente un anno fa Modi annunciava la demonetizzazione del Paese facendo sparire dal mercato l’86% delle banconote. Per l’opposizione è il black day, l’inizio del disastro e del credit crunch. Per il governo il sogno della cashless economy è sempre più vicino