L’omosessualità è stata depenalizzata dalla Corte suprema di Delhi, ma la società e le forze dell’ordine che dovrebbero far rispettare i diritti sono pronte? La svolta riapre in India la questione delle libertà individuali e della loro tutela
La notizia dell’estate in India è stata la depenalizzazione dell’omosessualità. Per l’esattezza, una sentenza della Corte Suprema ha annullato la sezione 377 del Codice penale che proibiva le “relazioni carnali contrarie all’ordine naturale”. Il momento storico è stato celebrato da molti media come slancio progressista in un Paese in corsa, dove però si inciampa ancora nelle leggi coloniali, come appunto quella da poco depenalizzata, introdotta nel 1860 durante il Raj Britannico.
La Corte Suprema ha quindi messo in archivio una legge discriminatoria e molto delicata. È forse un caso se la depenalizzazione della sezione 377 è frutto della sentenza di un giudice del più alto organo di giustizia indiano, anziché dal Parlamento? La risposta è no. Non è un caso perché l’omosessualità è un tema sensibile in India, impopolare a tal punto da essere stato sistematicamente evitato dai vari governi che si sono alternati alla guida del Paese.
Vero, l’importante è il risultato, quindi giusto considerare la sentenza come un passo in avanti. Assieme ai media, le organizzazioni per i diritti degli omosessuali – che rappresentano l’8% della popolazione – hanno ugualmente celebrato la decisione, ritenendola un cambio di rotta cruciale. I propositi ci sono tutti. La scomparsa della sezione 377 è destinata a facilitare l’esistenza di quei ragazzi e ragazze che in India hanno a lungo vissuto nascondendo la propria natura, emarginati, additati come individui diversi, manchevoli, non degni di vivere. Per questo non di rado indotti al suicidio dalla comunità cui appartengono, se non dalla famiglia stessa incapace di tollerare un’onta simile, tanto in città quanto nelle zone rurali in cui ancora oggi è distribuita la grande maggioranza della popolazione.
Passato il clamore della sentenza, l’India si è però accorta di non essere ancora pronta a recepire cambiamenti importanti, tanto e tale è il divario esistente tra chi detiene il potere di emettere una sentenza e chi dovrebbe rispettarla, o farla rispettare. La depenalizzazione ha quindi offerto ai media indiani l’occasione per fare il punto sull’India di oggi, a partire dal livello di libertà individuale, per arrivare alla tutela dei diritti. Uno tra tutti è il settimanale Outlook India, che a metà settembre ha dedicato un numero alle lacune del sistema di diritto indiano.
In riferimento alla sentenza della Corte Suprema, Outlook si chiede come possa essere garantita libertà agli omosessuali senza provvedere alla formazione degli agenti di polizia o di chi amministra la giustizia, affinché portino la depenalizzazione sul campo, rendendola concreta e facendo così in modo che due ragazzi dello stesso sesso possano vivere una relazione fuori dall’ombra. Difficile, se non impossibile, in un Paese dove nemmeno una coppia etero riesce a passeggiare in pubblico mano nella mano, dove un pittore che sceglie di esporre il ritratto di un ragazzo nudo rischia il linciaggio, dove un’esposizione artistica considerata contraria alla morale e al decoro viene cancellata per evitare sommosse popolari. È accaduto a Mumbai, la città indiana di gran lunga più cosmopolita, con la chiusura della monografica di Bhupen Khakhar alla Jehangir Art Gallery.
Outlook sottolinea come i diritti garantiti dalla Costituzione – considerata il baluardo della libertà individuale in India – possano essere negati in alcuni casi dalle leggi statali, come quelle in materia di conversione. Affinché sia valida, la conversione religiosa in alcuni Stati deve passare per la magistratura. In caso contrario si può subire l’annullamento di un matrimonio, adducendo ragioni tipo la circuizione e l’indottrinamento della sposa, incapace di valutare lucidamente le implicazione del passaggio a una religione in cui non è nata e cresciuta. La religione appunto, capace di condizionare a tal punto la società da rendere accettabile il linciaggio a colpi d’ascia di un musulmano, in Rajastan, davanti all’obiettivo dei telefonini e diffondere il filmato in rete come celebrazione dell’orgoglio hindu.
Nel mirino del settimanale indiano c’è anche la libertà di stampa, peggiorata dal 2016 al 2018, periodo in cui il Paese è passato dalla posizione 133 alla 138 su un totale di 180, tra Pakistan e Birmania. A condizionare la libertà individuale contribuiscono in misura determinante gli abusi di potere e l’impunità di esercito e polizia. Outlook cita lo stato dell’Assam, il Nagaland e il resto del delicato Nordest indiano. Poi l’India centrale, nel cosiddetto Corridoio Rosso dove l’esercito da anni cerca di soffocare l’insurrezione maoista. Il caso più noto resta comunque il Kashmir, regione contesa tra India e Pakistan sin dall’indipendenza del 1947. Qui le forze di sicurezza godono di una condizione di impunità garantita dal Armed Forces Special Powers Act. Vale a dire carta bianca nella repressione, ammettendo l’uso della violenza sulla popolazione civile, il ricorso a torture, incarcerazioni preventive e l’impiego di munizioni a salve in grado di uccidere decine di persone, di mutilare o di accecare i manifestanti.
Il direttore di Amnesty International India, Aakar Patel, attribuisce parte dei problemi del Paese all’incompatibilità esistente tra gli eccessi di liberalismo della Costituzione indiana e il secolarismo della politica. Del resto, all’indomani dell’indipendenza, chi scrisse la Costituzione era figlio di una cultura spiccatamente anglosassone, all’apice della modernità per l’epoca, cresciuto politicamente nel confronto con “l’intruso” inglese che aveva a lungo studiato per conoscerne punti deboli e di forza. Da quella prossimità e anche da quei punti di forza nasce la Costituzione dell’India, difficilmente assimilabile dalle masse delle campagne del West Bengal o dai tribali delle giungle del Chhattisgarh. Non è stata assimilata all’epoca e lo è difficilmente oggi, anche nelle grandi città.
Va però sottolineato come nel Dna indiano esista una spiccata propensione all’adattamento. La depenalizzazione dell’omosessualità è dunque un passaggio cruciale in questo momento storico ed è forse la dimostrazione che anche dalle complessità dell’India può avere inizio un cambiamento positivo.
@EmaConfortin
L’omosessualità è stata depenalizzata dalla Corte suprema di Delhi, ma la società e le forze dell’ordine che dovrebbero far rispettare i diritti sono pronte? La svolta riapre in India la questione delle libertà individuali e della loro tutela