A dicembre 2011 il Centre for Economic Business Research certificò il sorpasso del Brasile sulla Gran Bretagna, un bel traguardo per Dilma Rousseff, Presidente da un anno esatto. Il recupero britannico nel 2012, le deludenti cifre economiche della prima metà del 2013 e le manifestazioni di piazza di giugno allontanano però la meta.

Chi si entusiasmava troppo negli anni scorsi peccava di eccessivo ottimismo, ma è sulla strada sbagliata anche chi ora inferisce che il nuovo miracolo brasiliano è terminato. Che un Paese che poco più di 10 anni fa si dibatteva ancora in una grave crisi finanziaria possa avere ormai un Pil simile alla Nazione che è stata la culla della Rivoluzione industriale dà ben il senso dei cambiamenti in atto nella geografia globale della ricchezza e del potere.
Ovviamente il Pil è una misura arida e non corrisponde necessariamente al livello di qualità della vita – anche se i Brasiliani sono uno dei popoli al mondo più soddisfatti della propria vita. Non va neanche dimenticato che la popolazione del Brasile, 192 milioni di abitanti, è più del triplo di quella britannica e italiana e che pertanto il Pil pro capite è meno di un terzo che in Gran Bretagna e Italia. Nel 2010 Lula lasciò in eredità a colei che ne era stata dapprima Ministro dell’Energia e poi la più stretta collaboratrice, un’azione macroeconomica prudente, conti pubblici in ordine e inflazione sotto controllo, in gran parte perché aveva seguito il solco della precedente amministrazione Cardoso. Nel primo decennio del secolo l’economia ha poi tratto grande beneficio dal boom mondiale delle materie prime, grazie al quale i termini di scambio del Brasile sono migliorati. Tra Cardoso e Lula diverse invece sono state politica sociale e industriale. L’introduzione della Bolsa Familia ha dato risultati eccellenti in termini distributivi.
Combinata alla crescita, ha consentito il rafforzamento del ceto medio, sostegno dei consumi e del partito di Lula e di Dila, il PT. Lula ha anche dimostrato maggior fiducia nel ruolo dello Stato nell’economia, adottando una politica industriale ambiziosa e non lesinando le risorse pubbliche per banche e imprese statali. Il BNDES, in particolare, è intervenuto con vigore per sostenere l’economia nei momenti più critici della crisi globale e aiutare le grandi imprese brasiliane a internazionalizzarsi.
Malgrado gli indubbi successi, sono piano piano sorte nuove criticità, che sembrano essere scoppiate negli ultimi mesi e spiegano il brusco rallentamento. Il modello di sviluppo sembra troppo dipendente dal boom delle commodities, un timore che è acuito dalla scoperta degli immensi giacimenti petroliferi sottomarini (il pré-sal). Una volta a regime, questi consentirebbero infatti al Brasile di diventare una grande potenza energetica, ma accentuerebbero anche la
pressione sul tasso di cambio e ridurrebbero ulteriormente la competitività dell’industria manifatturiera. La debole crescita della produttività è un altro punto a sfavore. La popolazione è poco istruita e le competenze acquisite, secondo l’inchiesta PISA, sono modeste. Il costo del lavoro è invece elevato e la regolamentazione dissuade gli impreditori dal prendere rischi.Nel quadro d’insieme prevalgono però le notizie positive e ciò giustifica un cauto ottimismo. La storia di Frederico Chaves Guedes detto Fred, il calciatore che sembra trarre particolare gusto a segnare nella porta di Buffon, ben simbolizza le trasformazioni dell’economia mondiale e il ruolo del Brasile. Nel 2007 giocava nel Lione, uno dei 694 giocatori di calcio che emigrarono, alimentando l’esportazione di lavoro qualificato che rende ogni anno più di 100 milioni di dollari, molto di più che i prodotti tradizionali dell’agricoltura brasiliana come banana, papaya e mango. Poi Fred ha compiuto il percorso inverso, si è trasferito nel 2009 alFluminense. I mezzi a disposizione dei grandi club brasiliani sono ormai quasi comparabili a quelli dei rivali del Nord, che un tempo in Sudamerica facevano shopping di talento abuon mercato. E non è solo nel calcio che i flussi s’invertono: al prestigioso Instituto Nacional de Matemática Pura e Aplicada di Rio insegnano il russo Alexei Mailybaev, il tedesco Karl-Otto Stöhr e l’americano Robert Morris, mentre nel 2012 il maestro italiano GianLuigi Zampieri ha diretto l’Orquestra Sinfônica de Ribeirão Preto. Gli sforzi fatti per destinare più risorse alla ricerca e sviluppo (R&S), pubblicare su riviste scientifiche internazionali, innovare e brevettare, finanziare gli studenti meritevoli che vogliono perfezionarsi all’estero sono destinati a tradursi in risultati economici – già oggi varie multinazionali stanno investendo in centri all’avanguardia nell’energia e nella mobilità. I grandi eventi sportivi del 2014 e 2016, che per il momento sono alla base delle proteste, dovrebbero consentire alle grandi metropoli di dotarsi di infrastrutture all’altezza.Si può dire insomma che il Brasile è in mezzo al guado. È sicuramente avviato su un sentiero meno volatile che nel passato, quando le crisi nella
bilancia dei pagamenti si susseguivano e i piani d’aggiustamento non riuscivano a debellare il cancro dell’inflazione e dei suoi effetti devestanti sul potere d’acquisto dei più poveri. Per consolidare queste tendenze e fare il passo decisivo che faccia entrare il Brasile nel novero delle grandi potenze globali servirà coerenza delle politiche pubbliche e miglioramento della gestione. Altrimenti il Brasile resterà ancora lontano dalla velocità di crociera che permette di fare il grande salto da paese povero a paese ricco. Un passo che in pratica solo la Corea è riuscita a fare negli ultimi 50 anni.
A dicembre 2011 il Centre for Economic Business Research certificò il sorpasso del Brasile sulla Gran Bretagna, un bel traguardo per Dilma Rousseff, Presidente da un anno esatto. Il recupero britannico nel 2012, le deludenti cifre economiche della prima metà del 2013 e le manifestazioni di piazza di giugno allontanano però la meta.