Divenne premier il giorno del suo 27esimo compleanno nel 1991, quando il Montenegro era Jugoslavia. Da allora ha passato più di metà della sua vita al vertice. Uomo per tutte le stagioni, anche quella atlantica, Djukanovic tornerà in scena alla presidenziali del 15 aprile. Da favorito
“Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”. La famosa strofa di Antonello Venditti si presta bene a descrivere il rapporto che lega Milo Djukanovic al Montenegro. Dopo essersi ritirato nel 2016, infatti, il veterano della politica montenegrina si è candidato alle elezioni presidenziali del prossimo 15 aprile.
Eppure, quello dell’ottobre 2016 non era il primo ritiro di Djukanovic dalla vita pubblica. Aveva fatto la stessa cosa anche nel 2006 e nel 2010, prendendosi anche quelle volte una pausa di due anni. Il Partito Democratico dei Socialisti, di cui Milo è rimasto segretario generale, ha deciso dunque di puntare sull’usato sicuro per continuare a mantenere il dominio politico che va avanti dal 1991 e che ha fatto di Djukanovic lo statista più longevo d’Europa.
Djukanovic divenne primo ministro per la prima volta il giorno del suo ventisettesimo compleanno nel 1991, quando il Montenegro era ancora parte della Jugoslavia. Si trattava del suo primo lavoro e da allora ha trascorso più di metà della sua vita al vertice del piccolo Paese balcanico, accompagnandolo nelle sue varie trasformazioni: dalla vecchia Jugoslavia socialista a quella di Milosevic degli anni novanta, quindi l’unione di Serbia e Montenegro, fino all’indipendenza da Belgrado nel 2006.
In tutte queste fasi, Djukanovic ha avuto il merito di presentarsi come leader pragmatico in grado di adattarsi e trasformarsi secondo le convenienze del caso: da jugoslavo a serbo, fino a sostenere l’orgoglio identitario montenegrino; riciclandosi da comunista a social-democratico ma sposando la causa europeista.
Dal 1991 ad oggi, Milo Djukanovic è stato primo ministro per sei volte e presidente della repubblica per un mandato. Nella buona e nella cattiva sorte, Djukanovic ha accompagnato la vita dell’ultima generazione di Montenegrini mentre assistevano ai grandi avvenimenti europei degli ultimi trent’anni, tra cui la dissoluzione dell’Unione Sovietica, i bombardamenti Nato sulla Jugoslavia o l’introduzione della moneta unica in Europa.
Il punto di svolta della sua carriera politica fu il distanziamento da Milosevic, con il boicottaggio delle elezioni federali del 2000, che finiranno con la rivoluzione del 5 ottobre. Da allora, Djukanovic è stato sempre corteggiato dalle potenze occidentali, verso le quali si è sempre presentato come riformatore europeista ma senza privare il proprio Paese di ingenti investimenti russi, specie nel settore turistico e immobiliare, nonché di un altissimo debito a favore della Cina.
“Non molto è cambiato in questo periodo di tempo. Djukanovic era presidente, quindi primo ministro, ancora primo ministro, poi si è ritirato ed è ritornato quando gli pareva. […] Il Montenegro è passato dall’essere un paese indebitato all’essere fortemente indebitato, fino all’integrazione nella Nato (che ha fatto arrabbiare la Russia)” scrive Dusica Tomovic su Balkan Insight.
Dal giugno 2017, infatti, con l’ingresso del Montenegro, l’Alleanza atlantica si è assicurata il controllo di tutte le coste del Mediterraneo. Una situazione geopolitica che ha indispettito sia Mosca che Belgrado. E l’opposizione a Djukanovic si concentra proprio su orientamenti panserbi e filorussi. Inoltre, la Russia e la Serbia vennero accusate di aver orchestrato il presunto colpo di Stato all’indomani delle elezioni parlamentari del 2016 con l’obiettivo di “arrestare Djukanovic”. Un episodio mai chiarito del tutto, che Podgorica sostiene sia stato architettato affinché il Montenegro non entrasse nella Nato, mentre alcuni credono che si trattò di una messinscena per legittimare ulteriormente la vittoria di Djukanovic.
Di fatto, l’esito più importante di quel voto fu il ritiro di Djukanovic stesso, che passò la carica di primo ministro al collega di partito Dusko Markovic.
Quello tra Djukanovic e il Montenegro è soprattutto un rapporto dalle sfumature paternalistiche. Come riporta Afp “per molti degli oltre seicentomila montenegrini, Milo Djukanovic è il vero padrone, ha sempre esercitato una forte influenza, e ha continuato a farlo anche all’ombra del suo successore Dusko Markovic”. Mentre i suoi sostenitori vedono in lui un riformista, l’opposizione lo accusa di despotismo e clientelismo – che gli avrebbero permesso di controllare la società montenegrina, caratterizzata da forti rapporti di carattere clanico.
Va inoltre menzionato che nel 2003, la Procura di Bari aprì un’indagine su Djukanovic – sospettato di essere coinvolto in un traffico di contrabbando di sigarette tra Italia e Montenegro – poi definitivamente archiviata nel 2009.
La sua scelta di tornare in campo, per la terza volta, sembra quindi dettata dal timore per il principale avversario, Mladen Bojanic, la cui candidatura è sostenuta dai principali partiti d’opposizione, costituiti attorno al Fronte Democratico, di orientamento filorusso e contrario alla Nato. Ma il sostegno a Bojanic viene anche da diverse formazioni filoeuropee, tra cui il movimento civico Ura, i Democratici e il Partito Popolare Socialista.
Quella dell’opposizione montenegrina è dunque un’unione inedita che spaventa il Partito Democratico dei Socialisti. Per quanto i sondaggi confermino che Djukanovic sia il candidato favorito, non è da escludere che si vada al ballottaggio.
Solo il 15 aprile sapremo se i montenegrini avranno confermato ancora una volta la fiducia al loro indiscusso padre padrone.
@Gio_Fruscione
Divenne premier il giorno del suo 27esimo compleanno nel 1991, quando il Montenegro era Jugoslavia. Da allora ha passato più di metà della sua vita al vertice. Uomo per tutte le stagioni, anche quella atlantica, Djukanovic tornerà in scena alla presidenziali del 15 aprile. Da favorito