Tra i 470 mila file desecretati, l’Agenzia mette in rilievo un rapporto di 19 pagine che confermerebbe la cooperazione tra al-Qaeda e Teheran. Nulla di nuovo. Ma tempi e modi della pubblicazione fanno pensare che l’operazione trasparenza sia in primis un tentativo di colpire l’Iran
Secondo il direttore della Cia, Mike Pompeo, la pubblicazione dei documenti ritrovati nel maggio 2011 nel rifugio di Osama bin Laden ad Abbottabad, in Pakistan, è «una scelta di trasparenza». Ricercatori, analisti e giornalisti hanno encomiato la decisione, pronti a scartabellare quei 470.000 file. Ma la pubblicazione rimane parziale, perché altri documenti rimangono segretati per questioni di sicurezza nazionale. E i tempi e la modalità della «scelta di trasparenza» sollevano qualche dubbio. In particolare sul principale obiettivo dell’amministrazione Trump: l’Iran.
Tra i documenti resi pubblici, c’è infatti un rapporto di 19 pagine, non firmato ma attribuito a un pezzo grosso di al-Qaeda, in cui si ribadisce una tesi già emersa in passato: al-Qaeda avrebbe goduto dell’aiuto del governo iraniano. Vi si legge infatti che l’Iran avrebbe offerto ad alcuni militanti sauditi di al-Qaeda «soldi e armi e qualunque cosa di cui avessero bisogno, e addestramento nei campi di Hezbollah in Libano, in cambio di attacchi a interessi americani in Arabia saudita e nel Golfo». E che poi l’Iran avrebbe favorito il passaggio degli uomini di al-Qaeda dall’Afghanistan all’Iran, fornendogli protezione, visti, rifugi sicuri. Un aiuto concreto, frutto di un accordo poi disatteso da al-Qaeda, che però avrebbe continuato ad approfittare delle facilitazioni iraniane, e a coltivare «interessi contigui» all’organizzazione di bin Laden, in chiave anti-israeliana e anti-americana.
In realtà, nulla di nuovo. Sono già molti gli analisti che hanno esaminato quella strana relazione che risale ai primi anni Novanta, viene rivista alla metà del decennio e assume una forma più strutturata dopo il rovesciamento del regime dei Talebani, nel 2001, quando i militanti di al-Qaeda e i loro famigliari – inclusi alcuni figli di bin Laden – varcano il confine tra l’Afghanistan occupato dagli americani e l’Iran, mentre altri si rifugiano in Pakistan. A dispetto dell’incompatibilità ideologica tra al-Qaeda, organizzazione radicale sunnita, e l’Iran, Paese retto da una teocrazia islamica sciita, ne esce un matrimonio di convenienza, un accordo informale di cooperazione tattica: rifugi sicuri (che spesso equivalgono ad arresti domiciliari), occhi chiusi sui canali di finanziamento, reclutamento e comunicazione, in cambio dell’immunità di Tehran dal terrorismo.
Un accordo che, comunque, non dissipa i sospetti reciproci e i forti dissidi, come ribadiscono nelle loro lettere sia al-Zawahiri sia lo stesso Osama bin Laden, per i quali il governo iraniano coltiva soltanto i propri interessi. E che non dimostra alcun legame tra la Repubblica islamica e gli attentati compiuti da al-Qaeda. La stessa Commissione d’inchiesta del Congresso Usa, d’altronde, non ha trovato «alcuna prova che l’Iran o Hezbollah fossero a conoscenza della pianificazione di quel che poi sarebbe diventato l’attacco dell’11 settembre». Per dirla con uno vecchio militante qaedista: gli iraniani «hanno deciso di trattenere i nostri fratelli come carte». Carte di scambio.
Se la sostanza del documento di 19 pagine reso pubblico mercoledì scorso non è particolarmente nuova o interessante, lo sono invece i tempi e i modi della pubblicazione. La Cia ha infatti offerto in anteprima alcuni materiali dell’archivio bin Laden agli studiosi del sito di analisi Long War Journal, che è finanziato dalla Foundation for Defence of Democracies, fondazione conservatrice fortemente critica dell’accordo sul nucleare con l’Iran. Tra i suoi consiglieri, spiccano falchi neoconservatori come Charles Krauthammer (l’inventore nel 1990 del concetto di “momento unipolare”, che avrebbe dovuto garantire l’esclusiva egemonia Usa dopo la frammentazione dell’Unione sovietica) e William Kristol, tra i principali sponsor dell’invasione americana in Iraq del 2003 e teorico della “guerra al terrorismo” di Bush. Per i falchi a stelle e strisce, i documenti resi pubblici dalla Cia mercoledì scorso dimostrano due cose: l’Iran è sempre stato e continua a essere un Paese-canaglia; Obama lo sapeva, e pur sapendo ha perseguito a tutti i costi l’accordo sul nucleare, tenendo segreto quel dossier per assicurarsi un secondo mandato.
Ma c’è chi interpreta diversamente. Il fatto che l’anteprima dei documenti di bin Laden sia stata affidata proprio agli analisti del Long War Journal, e che loro abbiano scelto – tra 470.000 documenti – di evidenziare proprio le 19 pagine sull’Iran ha fatto drizzare le orecchie a qualcuno. Ovviamente anche agli iraniani. Per l’agenzia Fars, legata alle Guardie della rivoluzione, l’operazione-trasparenza della Cia è in realtà «un progetto contro Teheran». Per il ministro degli esteri Javad Zarif, si tratta di «fake news», scelte in modo selettivo, che non riusciranno «a cancellare il ruolo degli alleati degli Stati Uniti nell’11 settembre». Trump, contento, incassa.
@battiston_g
Tra i 470 mila file desecretati, l’Agenzia mette in rilievo un rapporto di 19 pagine che confermerebbe la cooperazione tra al-Qaeda e Teheran. Nulla di nuovo. Ma tempi e modi della pubblicazione fanno pensare che l’operazione trasparenza sia in primis un tentativo di colpire l’Iran