Dopo la storica distensione nelle relazioni tra Stati Uniti e Cuba, nel 2015 potrebbe toccare all’Iran. Sebbene i colloqui per la fine delle sanzioni internazionali sul programma nucleare siano ripresi solo in questi giorni, in seguito al rinvio a giugno, deciso lo scorso 24 novembre a Vienna, sia Washington sia Teheran puntano al riavvicinamento dopo trent’anni di tensioni.

Il nuovo corso potrebbe arrivare sulla scia della cooperazione indiretta tra i due vecchi «nemici» nella lotta contro i jihadisti dello Stato islamico (Isis) in Iraq e per il pragmatismo dimostrato dall’Iran nella gestione della crisi afghana.
I nuovi riformisti e gli arresti mirati
Ma in Iran non si ferma la repressione del movimento riformista. Le università iraniane sono state attraversate negli ultimi giorni da nuove contestazioni, dopo le proteste del 2009 contro la rielezione dell’ex presidente Mahmud Ahmadinejad. Questa volta i giovani iraniani hanno contestato le accuse mosse dall’editore del quotidiano conservatore Kayhan. In un suo discorso all’Università di Teheran, Hossein Shariatmadari aveva accusato i leader riformisti di aver convinto l’Occidente a imporre le sanzioni contro l’Iran che hanno colpito la popolazione soprattutto negli ultimi anni. I contestatori hanno chiesto la liberazione di Mir Hussein Mousavi, il leader riformista agli arresti domiciliari dal 2011 e hanno accusato il direttore di Khayan di diffondere false accuse. Anche l’ex ufficiale, Ezatollah Zarghami ha duramente criticato Mousavi, definito il più pericoloso tra i leader del movimento verde.
Il presidente moderato Hassan Rohani aveva promesso più ampie libertà all’interno degli atenei, favorendo il ritorno dei dirigenti accusati di coinvolgimento con le proteste del 2009. In realtà le aperture promesse da Rohani hanno incontrato la dura opposizione del clero conservatore.
Anche il nuovo partito riformista Neda (che in persiano fa riferimento alla «Seconda generazione di riformisti»), approvato dal ministero dell’Interno all’inizio di dicembre, ha subito arresti e minacce. Il gruppo è guidato da Sadeq Kharazi, diplomatico di lungo corso, consigliere di Mohammed Khatami, composto da 12 politici e vicino a giovani riformisti e politici di Mosharekat (Partecipazione), il movimento fondato dall’ex presidente. Kharazi aveva più volte fatto riferimento alla partecipazione del gruppo alle prossime elezioni parlamentari e all’obiettivo di raccogliere i voti della classe media per colmare il vuoto lasciato dai limiti imposti ai riformisti iraniani dopo il 2011. Le autorità iraniane hanno disposto invece l’arresto di tre esponenti del partito Neda. Il portavoce del nuovo gruppo riformista, Hassan Younessi ha negato che gli arresti fossero collegati alle attività del partito. Younessi ha assicurato poi che Neda opera nel quadro della legge.
I guai per il gruppo sono arrivati, in particolare, dopo i commenti del comandante della Guardia rivoluzionaria iraniana, Gholamhossein Gheybparva che ha definito i riformisti «impuri» e ha accusato il parlamentare Ali Motaharri di proteggere i leader riformisti in prigione.
Per i bambini afghani si aprono i battenti delle scuole iraniane
Eppure non mancano le buone notizie. Il governo iraniano ha concesso un’estensione del visto a 450mila afghani per prevenirne l’espulsione. Le autorità afghane hanno chiesto ai paesi vicini di non espellere i rifugiati che hanno trovato riparo in quei paesi. 760 mila rifugiati afghani sono a rischio di espulsione imminente.
Un dirigente del ministero dell’Interno ha descritto il piano di estensione dei visti come una conseguenza di migliori relazioni bilaterali tra Iran e Afghanistan. Mohammad Mohaqiq ha ammesso che anche i bambini afghani senza documenti potranno finalmente avere accesso alle scuole iraniane, mentre gli studenti universitari afghani godranno di un taglio del 50% nel pagamento delle tasse.
Tra il 2010 e il 2012, il governo iraniano ha approvato un Piano di regolarizzazione generale per la registrazione degli afghani senza documenti, residenti in Iran. Sono quasi 3 milioni i rifugiati afghani che vivono stabilmente in Iran, di cui solo 860 mila hanno i documenti in regola. Lavorano soprattutto come operai nei cantieri edili della capitale. Eppure, secondo decine di ong iraniane per la difesa dei diritti umani, gravi sono le discriminazioni a cui sono sottoposte queste popolazioni rifugiate. Nei luoghi di lavoro non dispongono di diritti assicurativi e contributivi, mentre centinaia sono i bambini non ammessi nelle scuole pubbliche perché non hanno i documenti in regola.
Da anni, gli afghani iraniani, soprattutto se residenti nei campi profughi, allestiti dopo lo scoppio della guerra nella poverissima regione del Sistan, hanno denunciato episodi di rimpatrio forzato.
Dopo la storica distensione nelle relazioni tra Stati Uniti e Cuba, nel 2015 potrebbe toccare all’Iran. Sebbene i colloqui per la fine delle sanzioni internazionali sul programma nucleare siano ripresi solo in questi giorni, in seguito al rinvio a giugno, deciso lo scorso 24 novembre a Vienna, sia Washington sia Teheran puntano al riavvicinamento dopo trent’anni di tensioni.