Il sottosegretario di Stato Usa per gli Affari del Vicino Oriente Jeffrey Feltman, lo scorso luglio, ha messo in guardia il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla minaccia per la stabilità della regione rappresentata da Boko Haram.
Tuttavia, il gruppo estremista nigeriano, già in difficoltà per l’offensiva della forza multinazionale congiunta MNJTF, potrebbe essersi ulteriormente indebolito. Da tempo, l’organizzazione è segnata da lotte intestine, che nelle ultime settimane hanno rivelato tutta la loro consistenza nel minarne gli equilibri.
L’entità della scissione che si sta consumando all’interno di Boko Haram prende forma lo scorso 2 agosto, quando sul numero 41 di “Al Nab’a”, una delle riviste dello Stato Islamico, viene pubblicata un’intervista ad Abu Musab al-Barnawi.
Nel rispondere alle domande, al-Barnawi dichiara di essere il nuovo ‘wali’ (governatore) di Boko Haram o meglio della ‘wilaya’ (provincia) dell’Africa occidentale dello Stato islamico (ISWAP), nome che ha assunto dopo l’adesione al Califfato, avvenuta il 7 marzo 2015.
La replica di Abubakar Shekau non si fa attendere. Due giorni dopo, attraverso un messaggio audio, Shekau dichiara di essere ancora il leader di Boko Haram e ribadisce al contempo totale fedeltà al califfo Abu Bakr al-Baghdadi.
A questo punto, diventa evidente la spaccatura interna tra la fazione estremista di Shekau, che continua a richiamarsi alla logica millenaristica ereditata dal fondatore e guida spirituale del gruppo Ustaz Mohammed Yusuf, e quella che ormai dovrebbe essere l’ala ‘maggioritaria’, che porta avanti la logica terroristica, puntando a rafforzare i legami con lo Stato Islamico.
Una scissione ‘de facto’ esemplificata anche a livello territoriale, con i fedelissimi di Shekau ancora insediati nelle roccaforti storiche di Boko Haram, quali la foresta di Sambisa e i monti Mandara, e i seguaci dell’ideologia di Daesh concentrati nelle isole e lungo le rive del lago Ciad.
Quest’ultima fazione risponde al nuovo leader al-Barnawi, che, dal gennaio 2015, era indicato come il portavoce di Boko Haram e, secondo fonti di stampa nigeriane, sarebbe il figlio dello stesso fondatore Yusuf, ucciso nel luglio 2009, dopo essere stato catturato dalle forze di sicurezza.
Le cause della frattura emergono anche nell’intervista ad al-Barnawi apparsa su Al Nab’a, nella quale il nuovo capo tenta di attenuare l’immagine di Boko Haram impegnandosi a porre fine agli attacchi alle moschee e ai mercati frequentati dai musulmani, che sono diventati un marchio dei jihadisti nigeriani.
Respinge anche l’affermazione che i suoi combattenti siano ‘kharigiti’, termine usato come sinonimo di “estremisti” e spesso utilizzato dai qaedisti per descrivere chi aderisce allo Stato Islamico.
Nella sua replica Shekau critica al-Barnawi per non essere abbastanza radicale, sostenendo che rifiuta di accusare gli altri musulmani di apostasia anche quando sono chiaramente colpevoli.
Il Califfato condanna, invece, l’estremo radicalismo dimostrato da Shekau alla guida dell’organizzazione. Un caso analogo si era già manifestato con Abu Omar al-Kuwaiti, alleato dell’ISIS in Siria, prima di essere giustiziato dai militanti del Califfato per eccesivo ‘takfirismo’.
Le divisioni che stanno interessando Boko Haram erano comunque state rese note, lo scorso giugno, quando intervenendo davanti al Congresso degli Stati Uniti il generale Thomas Waldhauser aveva riferito di una spaccatura interna al gruppo islamista.
Il comandante di AFRICOM aveva riportato che circa metà dei membri di Boko Haram sarebbero confluiti in un altro gruppo a causa del mancato rispetto da parte di Shekau delle direttive dello Stato Islamico. Nella sua audizione, il generale aveva anche parlato dei tentativi di riconciliare le due fazioni operati da parte della stessa organizzazione jihadista. Di recente, anche un alto ufficiale dell’esercito nigeriano aveva riferito a Jeune Afrique di aperti dissensi all’interno del gruppo.
Nell’individuare le ragioni che avrebbero indotto lo Stato Islamico a sostituire Shekau con al-Barnawi, il ricercatore Martin Ewi dell’Institute for Security Studies di Pretoria ritiene che il Califfato avrebbe messo volutamente da parte Shekau al fine di salvaguardare l’integrità del gruppo, già diviso al suo interno da diverso tempo.
A rendere più complesso lo scenario è quanto riferito dall’analista e blogger nigeriano Fulan Nasrullah, secondo cui Mohammad Daud, uno dei membri della ristretta cerchia di allievi di Yusuf e responsabile della sicurezza interna conosciuta come Amniyah, in disaccordo con la decisione di rimanere fedeli all’ISIS avrebbe abbandonato il gruppo insieme a centinaia di suoi sostenitori, e sarebbe disposto a negoziare con il governo nigeriano.
Una faida interna molto articolata, che potrebbe rappresentare un punto di svolta in positivo per la MNJTF nella lotta contro Boko Haram, soprattutto se le fazioni entreranno in aperto contrasto.
Considerato però che Shekau ha dichiarato di rimanere fedele al Califfato e di non aver intenzione di combattere direttamente il gruppo rivale, sembra più probabile l’ipotesi che si cada in una nuova escalation di violenza, nella quale le fazioni si contenderanno la supremazia sferrando attacchi con l’obiettivo di mietere il maggior numero possibile di vittime.
Il sottosegretario di Stato Usa per gli Affari del Vicino Oriente Jeffrey Feltman, lo scorso luglio, ha messo in guardia il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla minaccia per la stabilità della regione rappresentata da Boko Haram.
Tuttavia, il gruppo estremista nigeriano, già in difficoltà per l’offensiva della forza multinazionale congiunta MNJTF, potrebbe essersi ulteriormente indebolito. Da tempo, l’organizzazione è segnata da lotte intestine, che nelle ultime settimane hanno rivelato tutta la loro consistenza nel minarne gli equilibri.