Archiviata (apparentemente) la guerra in Ucraina e ridimensionata la portata dei bombardamenti in Siria, c’è un posto al modo in cui la Mosca non abbassa le armi. È l’Artico la regione in cui la Nato e la Russia si confrontano in una guerra simulata che di freddo rischia di avere solo il clima.
La scorsa settimana il generale Philip Breedlove, comandante supremo delle forze alleate in Europa, ha messo i puntini sulle i. «Gli alleati sono molto preoccupati dalla militarizzazione russa dell’Artico», ha detto durante un’audizione. «Quello che abbiamo visto in prima Crimea e poi in Donbass, e quello che stiamo vedendo in questo momento in Siria, è il disegno della Russia di mettere prima le forze militari in campo per porre le proprie condizioni e negoziare da una posizione di potere».
Molti osservatori hanno notato che l’intervento in Siria e la guerra in Donbass sono aspetti diversi di un’unica strategia di potenza. Putin che vuole trattare con le potenze mondiali – in realtà, con gli Usa – con il kalashnikov ben in vista sul tavolo. Ma mentre gli occhi del mondo erano puntati prima sull’Ucraina e poi sulla Siria, il grosso dello sforzo militare russo si dispiegava sopra l’80° parallelo. «La Russia sta sviluppando proprio ora delle competenze e delle capacità militari nell’Artico», ha aggiunto Breedlove.
La militarizzazione dell’Artico
La Nato è stata da più parti accusata di non fare abbastanza per contrastare la Russia nella regione. Forse per questo la Marina Usa ha annunciato una vasta esercitazione militare, per la prima volta insieme a forze norvegesi, inglesi e canadesi. Fonti della Nato smentiscono che si tratti di una risposta alla Russia e dicono, anzi, che il programma Icex – così si chiamano le esercitazioni al Polo – va avanti dai tempi della guerra fredda. Ma è difficile negare che qualcosa si sta muovendo tra i ghiacci polari.
La militarizzazione della regione artica da parte della Russia sta raggiungendo livelli senza precedenti. Le esercitazioni su larga scala, i proclami e i continui contatti tra le forze aeree di Nato e Russia sul limite (e anche oltre) dello spazio aereo dei Paesi del Nord stanno mettendo alla prova la coesione occidentale. E c’è chi comincia davvero a preoccuparsi della capacità di risposta della Nato in caso di un attacco russo in nord Europa.
Putin ha dato il via a un programma pluriennale per ripristinare numerose basi militari nel Nord russo. Solo nel primo anno, 10 basi aeree in disuso dai tempi dell’Urss sono state rimesse in esercizio. Mosca può già contare su 14 basi nell’estremo nord. Entro la fine del 2016 sarà poi terminata la base di Nagurskoye, sulla Terra di Francesco Giuseppe, la più a nord di tutte. Da sola, un investimento di 130 milioni di dollari. Intanto è già operativo il nuovo comando dell’Artico, il super-distretto militare che raggruppa sotto di sé tutta la forza di aria, terra e mare dislocata al di là del Circolo polare.
Tutto questo mentre si procede per via legale davanti alla Commissione per il limiti della piattaforma continentale dell’Onu per vedere riconosciute le pretese sul sottosuolo polare, il più grande giacimento di risorse naturali ancora non sfruttate.
La Mecca del gas e del petrolio
Dmitry Rogozin, il pirotecnico vice primo ministro russo, nonché delegato agli affari politicamente scorretti (è il rappresentante speciale di Putin per la Transnistria oltre a essere stato recentemente posto a capo della nuova Commissione sugli affari artici) lo ha twittato tempo fa che «L’Artico è la Mecca russa».
Secondo gli scienziati la calotta polare artica si è ridotta del 40 per cento negli ultimi vent’anni ed è destinata a scomparire nel giro di un’altra decina. Succhiare gas e petrolio dove ora c’è ghiaccio non sarà più impossibile. L’Artico si appresta a essere un duro campo di battaglia tra la Russia e gli altri Paesi artici, Stati Uniti e Canada prima di tutti. Il ghiaccio polare che si sta sciogliendo sta per liberare un’immensa ricchezza in termini di gas e petrolio: riserve stimate nel 10-15% di tutto il petrolio e addirittura nel 30% di tutto il gas non ancora scoperti rendono l’Artico il più grande giacimento di risorse naturali ancora non sfruttate. Il gigante di stato Gazprom ha investito finora miliardi di dollari in prospezioni e progetti di sfruttamento. Il suo fiore all’occhiello, da solo costato 6 miliardi di dollari, è il progetto Prirazlomnaja, la gigantesca piattaforma marina dell’affaire Greenpeace dello 2013.
Insomma, qualcosa di molto più appetitoso delle pianure dell’est ucraino o del deserto siriano.
@daniloeliatweet