Pur provenendo da 3 colpi di Stati nello spazio di 20 anni il Paese ha acquisito dal 2002 una stabilità politica invidiabile.
Il partito al Governo AKP al Governo ha superato indenne 3 tornate elettorali (2002, 2007, 2011) e ancora oggi, oltre a godere di oltre 320 seggi (su 550), ha il sostegno del 45% della popolazione (le proteste dello scorso giugno – Gezi Park- non hanno costituito una minaccia alla stabilità politica del Paese). A fine settembre 2013 Erdoğan ha svelato l’atteso “pacchetto di democratizzazione”. Sebbene il pacchetto rappresenti complessivamente un passo positivo per la democratizzazione del Paese, non ha mancato di sollevare polemiche tra le minoranze presenti nel Paese (in particolare i curdi e gli aleviti) e dall’ala più laica della popolazione. Tra le riforme più significative previste nel pacchetto si segnalano la libertà di indossare il velo, türban, negli uffici pubblici, e l’abolizione del giuramento del mattino. Relativamente invece alle minoranze etniche e religiose, in particolare ai curdi, si prospettano alcune notizie positive come la depenalizazione dell’utilizzo delle lettere Q, W e X, presenti nell’alfabeto curdo, il libero impiego delle lingue e dei dialetti diversi dal turco per tenere comizi politici e fare attività propagandistica, e la possibilità di ottenere finanziamenti pubblici per i partiti che superano il 3%. Le delusioni riguardano, invece, l’impossibilità di insegnare la lingua curda nelle scuole pubbliche (previsto solo in quelle private) e la mancanza di modifiche del codice penale atte alla scarcerazione dei numerosi attivisti politici curdi. Delusa, anche l’altra minoranza importante del Paese, gli aleviti che attendevano un riconoscimento dei loro luoghi di culto – le cemevi – che non c’è stato. Altra importante novità/apertura riguarda invece il sistema elettorale. Sebbene il pacchetto non preveda cambiamenti relativi allo sbarramento elettorale che rimane al 10%, Erdogan si è detto aperto alla discussione del tema, avanzando tre opzioni: (1) mantenere l’attuale soglia di sbarramento; (2) abbassarla al 5% modificando la ripartizione delle circoscrizioni; (3) eliminarla completamente, introducendo un sistema uninominale secco.
Nel complesso il pacchetto di democratizzazione non rappresenta certamente la soluzione all’annoso problema delle autonomie per le minoranze presenti nel Paese, ma costituisce certamente un passo nella giusta direzione.
I negoziati d’adesione della Turchia nell’Unione europea hanno avuto inizio 8 anni fa (ottobre 2005), portando alla creazione di 35 capitoli negoziali. Sebbene negli ultimi anni l’integrazione del Paese all’Ue è proceduta molto a rilento, finalmente, dopo uno stallo di oltre tre anni, il cammino della Turchia verso l’Europa sembri riprendere grazie all’apertura (5 novembre 2013) del capitolo sulle “politiche regionali” (attualmente di 35 capitoli negoziali sono aperti 14; mentre 1 solo capitolo è chiuso – giugno 2006).In questi anni la Turchia ha dimostrato di essere un Paese in grado di raggiungere risultati importanti ma sul percorso europeo entrambi gli attori, UE e Turchia, possono e devono dare di più. Nonostante Gezi Park e la repressione del Governo turco, la strada della Turchia verso l’Europa rimane aperta. Tuttavia, aldilà di Cipro, la questione dell’”absorption capacity” dell’Unione ha sempre caratterizzato l’adesione turca all’Ue. In ogni modo, il Governo turco può certamente fare di più per concretizzare il suo avvicinamento all’Ue, ma al tempo stesso l’Ue deve decidere una volta per tutte sulla reale possibilità per la Turchia di essere un membro Ue.
Ultimo Progress Report della Commissione Europea: l’ultimo rapporto della Commissione europea sui progressi effettuati dalla Turchia (realizzato a metà ottobre 2013), per quanto caratterizzato da una visione in chiaroscuro della situazione politica e sociale del Paese, sembra eccezionalmente conciliante verso la Turchia, soprattutto alla luce dei fatti di Gezi Parkı e delle conseguenti tensioni tra l’Ue e il Governo di Ankara. La Commissione europea, infatti, pur avendo inevitabilmente considerato “con realismo” i fatti di Gezi, si è pronunciata positivamente sulle riforme e sugli sforzi di pacificazione con la minoranza curda, dimostrando di aver apprezzato il recente “pacchetto di democratizzazione” (si veda di seguito) presentato dal Governo turco e l’affermazione di una società civile “che vuole avere il suo ruolo in una democrazia partecipativa, anche fra un voto e l’altro“. La vittoria politica più importante della Turchia è arrivata però dalle parole del Commissario europeo per l’allargamento Füle, che ha affermato la sua convinzione di poter proseguire la strada della piena integrazione della Turchia nell’Ue, e che la Commissione intende chiedere a breve l’apertura di altri due capitoli negoziali – al di là del recente capitolo 22 sulle politiche regionali: si tratta dei capitoli 23 e 24 su Giustizia, Diritti fondamentali; Libertà e Sicurezza, proprio a garanzia che gli eventi di quest’estate non vadano in dimenticatoio e che “l’Ue rimanga il punto di riferimento per le riforme in Turchia”. Pertanto, è importante la volontà europea di “ridare slancio” ai negoziati di adesione e di puntare subito sui nuovi capitoli. La decisione di avviare i negoziati sull’apertura di un nuovo capitolo costituisce sicuramente un passo importante a cui il Governo turco dovrà finalmente rispondere mostrando tutta la sua “buona volontà”. Nel frattempo, davanti ad un’Europa che arranca e che non prende coscienza delle opportunità che la Turchia rappresenta, il consenso turco per l’Ue cala inesorabilmente: 63% nel 2005 44% oggi; nello specifico trai giovani: 74% nel 2005, 47% oggi.
Dalla crisi economica del 2000 l’economia turca è emersa completamente trasformata e presenta oggi una crescita economica importante e stabile: 18esima economia mondiale, 7 economia europea. Nel 2010 crescita a livelli cinesi 9,2%. Ma la modernizzazione dell’economia turca non è rappresentata tanto dalla sua crescita economica quanto dal miglioramento di quegli indicatori che da sempre rappresentano i suoi “talloni di Achille”:
-Un’economia in forte espansione (un PIL più che triplicato, passato da €169 a €617 mld dal 2002 al 2012).
– Una crescita economica stabile con un tasso di crescita medio annuo del PIL reale del 5% nell’ultimo decennio).
– Un’economia promettente che, secondo le previsioni, registrerà la crescita economica più rapida tra i membri dell’OCSE tra il 2012 e il 2017, con un tasso di crescita medio annuo del PIL reale pari al 5,2%.
– Un’economia istituzionale alimentata da oltre €90 mld in investimenti diretti esteri (IDE) nell’ultimo decennio.
– Un settore privato dinamico e maturo con $153 mld di esportazioni e un aumento del 325% tra il 2002 e il 2012 (TurkStat)
– Inflazione: 70% nel 2002, 7,4% nel 2013.
– Partite correnti nel 2012 per la prima volta in miglioramento grazie al rallentamento registrato in uno dei maggiori problemi turchi il disavanzo commerciale (diminuito nel 2012 del 20%).
– Riassetto delle finanze pubbliche. Il debito nominale al 74% nel 2002 è oggi a meno del 37% del Pil; il deficit di bilancio dal 10% del Pil nel 2002 ha raggiunto il pareggio nel 2011 ed è oggi intorno al 1,5%.
– Classe media in continua crescita. Oggi oltre il 59% della popolazione (oltre 43 mln di persone) ne fanno parte, il valore del Pil nominale è più che triplicato e il Pil pro-capite è passato da €1,5mila del 2002 a €8mila nel 2012. Crescita della propensione al consumo grazie anche alla diffusione di moderni sistemi di carte di credito che permettono la rateizzazione degli acquisti in modo sistematico.
Non è un caso se Fitch nel 2012 ha attribuito al Paese l’”investment grade”…
Pur provenendo da 3 colpi di Stati nello spazio di 20 anni il Paese ha acquisito dal 2002 una stabilità politica invidiabile.