Mentre a Kabul si discute, come scrisse Tito Livio di Roma, l’Afghanistan cade.
Come resta attuale la storia! Non si può fare a meno di pensarlo allorché si guarda a quanto sta avvenendo in Afghanistan. Dopo circa un decennio, un’operazione che era iniziata come azione di peacekeeping ma che in breve tempo ha subìto impennate che l’hanno trasformata in peace-enforcing, se non in vera e propria occupazione militare, i soldati della NATO e americani stanno progressivamente lasciando il paese.
Alcuni paesi se ne andranno del tutto, come gli Stati Uniti, con cui l’Afghanistan non è riuscito a raggiungere un accordo sulla giurisdizione in merito ai reati commessi in territorio afghano dai GIs americani. Altri, e fra questi purtroppo anche l’Italia, rimarranno con un nutrito gruppo di istruttori incaricati di elevare lo standard di addestramento e operatività dei militari e dei poliziotti del paese. Decisione, e funzione, che comporteranno un costante rischio di sanguinoso coinvolgimento in quelle lotte intestine che neanche la vigile presenza di più di centomila soldati stranieri è mai riuscita a far cessare.
Forse quella della Alleanza Atlantica e degli Stati Uniti non è una sconfitta. O perlomeno se di sconfitta si tratta è più una sconfitta politica che militare. I soldati hanno fatto il loro dovere, combattendo bene allorché necessario e sopportando ogni disagio con silenziosa disciplina. La presenza straniera in Afghanistan è però riuscita a conseguire nei pur lunghi anni di durata dell’operazione soltanto una minima parte degli obiettivi che si proponeva. E che si sono nel tempo rivelati troppo ambiziosi per lo sforzo che le nostre opinioni pubbliche e le nostre forze politiche sono state disposte a dedicare a quel lontano paese.
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Mentre a Kabul si discute, come scrisse Tito Livio di Roma, l’Afghanistan cade.