
Tante belle parole per Kiev, ma al summit di Varsavia la Nato ha mostrato una chiara strategia di disimpegno.
L’Ucraina avrebbe dovuto essere la Cenerentola del summit Nato di Varsavia, lo scorso 9 luglio. Ha finito invece per non comparire nemmeno nei comunicati che contano. Nella dichiarazione diffusa alla conclusione dell’incontro, infatti, i leader dei Paesi membri «incoraggiano i partner che aspirano a entrare a far parte dell’Alleanza a continuare a implementare le necessarie riforme», rivolgendosi solo alla Georgia, alla Macedonia e alla Bosnia Erzegovina. Per chi si aspettava una mano tesa all’Ucraina si è trattato più di uno schiaffo.
La Russia è una minaccia. Anzi, no.
I vertici riunitisi nella capitale polacca, però, di decisioni importanti ne hanno prese. Quattro battaglioni di mille soldati ciascuno sono stati disposti permanentemente in Polonia e nei tre Paesi baltici, Lituania, Lettonia ed Estonia. Più a sud, un’unità di difesa navale nel Mar Nero sarà formata da Romania, Bulgaria e Turchia. A quest’ultima dovrebbe partecipare anche l’Ucraina.
Il disegno tracciato a Varsavia contorna con precisione confini orientali dell’Alleanza atlantica. I quattro battaglioni di fanteria dispiegati a nordest sono tutti destinati a Paesi che confinano con la Russia continentale e con la strategica exclave di Kaliningrad. Un disegno che parla molto più chiaro delle parole dello stesso segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. «Non vediamo alcuna minaccia imminente contro alcun alleato Nato», ha detto. «Non siamo né in una posizione di partnership strategica con la Russia né in un clima da Guerra fredda».
E in effetti l’Ucraina, l’unico dei Paesi presenti al summit impegnato in una guerra – che guarda caso coinvolge la Russia – non è un membro Nato.
Strategie di disimpegno
La Nato continuerà a dare assistenza all’Ucraina nella difesa informatica, nella logistica e nella riabilitazione dei soldati feriti, ha detto ancora Stoltenberg, aggiungendo che ulteriori campi di cooperazione potrebbero essere il contrasto alla guerra ibrida e all’uso di IED, gli ordigni improvvisati. Davvero poca roba per un Paese in guerra, dove si spara quasi quotidianamente con artiglieria pesante e lanciarazzi multipli.
«Queste decisioni dimostrano che la Nato è saldamente al fianco dell’Ucraina», ha detto Poroshenko, cercando di portare a casa un punto inesistente. Ma poi ha aggiunto che «ora dobbiamo fare le riforme», riferendosi probabilmente alla richiesta comune dei presidenti e capi del governo di Stati Uniti, Germania, Francia e Italia di procedere a elezioni in Donbass entro pochi mesi. Un’altra chimera di Minsk.
La sensazione tangibile alla fine di questo summit è che la Nato non ha alcuna intenzione di lasciarsi trascinare nel pantano ucraino e che fino a quando l’est del Paese continuerà a essere un’area di destabilizzazione e di frizione con la Russia, Kiev potrà scordarsi l’ingresso nell’Alleanza.
Una politica in linea con il disimpegno dei singoli Paesi europei, vogliosi di chiudere il capitolo sanzioni.
@daniloeliatweet
Tante belle parole per Kiev, ma al summit di Varsavia la Nato ha mostrato una chiara strategia di disimpegno.