Il 18 maggio i tatari di Crimea hanno commemorato i 70 anni dalla deportazione della loro gente in Asia centrale voluta da Josef Stalin, ma le autoproclamate autorità della penisola non hanno accolto di buon grado la commemorazione. Al leader tataro Mustafa Dzhemilev, è stato vietato dalle autorità de facto l’ingresso in Crimea, mentre la comunità ora manifesta per l’autodeterminazione e l’autonomia territoriale.

La polizia russa controllava i manifestanti con due rumorosi elicotteri militari. Secondo molti testimoni oculari hanno sorvolato i manifestanti a bassa quota con la chiara intenzione di disturbare la manifestazione. Ciononostante, almeno 10mila persone si sono radunate nella periferia della capitale della Crimea, Simferopoli, per commemorare il 70° anniversario deportazione del loro popolo dalla nativa Crimea alle steppe dell’Asia centrale, dove un’altra comunità tatara popola tutt’oggi la repubblica del Tatarstan. La commemorazione – la prima dopo l’indipendenza della Crimea dall’Ucraina – ancora prima del suo inizio si era ben presto trasformata in una manifestazione in nome dell’autodeterminazione e contro le autorità russe che hanno preso il potere in Crimea.
Come nei tempi sovietici
Il parallelo tra Stalin e i giorni nostri è stato facile. Prima il divieto d’ingresso in Crimea imposto al leader dei tatari Mustafa Dzhemilev, e poi la minaccia di mettere al bando il Mejlis (il principale organo di rappresentanza tatari di Crimea) hanno fatto subito tornare alla memoria le persecuzioni del passato. “La situazione è ormai quasi uguale a quella che c’era durante il regime sovietico”, ha detto Dzhemilev ai giornalisti durante il suo “esilio” a Kiev. “Le autorità sovietiche non hanno mai riconosciuto il nostro movimento nazionale, lo hanno sempre definito antisovietico o estremista. La stessa cosa sta succedendo oggi”. Dzhemilev, che è stato anche un importante dissidente in epoca sovietica, è stato fermato alla frontiera di ritorno da un viaggio a Kiev all’inizio di maggio, e gli è stato vietato di entrare in Crimea per cinque anni. “Le autorità russe vogliono imporci la cittadinanza russa. I tatari di Crimea non vogliono accettarla, ma coloro che rifiutano la cittadinanza russa vengono trattati come stranieri” ha detto ancora Dzhemilev. Imporre la cittadinanza russa ai tatari equivarrebbe a cancellare la loro presenza nella penisola come minoranza etnica. Certamente è azzardato il paragone con la deportazione del 1944 – quando le autorità sovietiche obbligarono all’esilio 200mila tatari, lasciandone morire durante il lungo viaggio verso l’Asia – ma si tratta certamente di una chiara violazione dei diritti umani che risvegliai fantasmi del passato. Inoltre, molti ancora associano il dominio russo con l’oppressione, l’esilio e le discriminazioni sovietiche.
Un appello per l’indipendenza
Il primo ministro della Crimea, Sergei Aksyonov, ha emesso venerdì scorso un divieto per tutte le manifestazioni pubbliche fino al 6 giugno, adducendo le violenza nel sudest dell’Ucraina come motivo della sua decisione. Il divieto è entrato in vigore appena due giorni prima del 70° anniversario, abbastanza per collegarlo al disfavore delle autorità per la commemorazione. Il Mejlis ha annunciato che nessun raduno avrebbe avuto luogo nel centro di Simferopoli, e subito dopo ha chiesto ai tatari di radunarsi in una località diversa, alla periferia della città. È chiaro che ci sono alcuni attriti tra la comunità tatara e le autorità russe, che potrebbero rendere la situazione ancora più tesa. Decine di persone che hanno manifestato per il ritorno di Dzhemilev sono stati arrestate, mentre un paio di giorni prima dell’anniversario le case di diversi membri della comunità sono state perquisite dagli agenti dell’Fsb russo per sospetta “attività terroristica”.
Una risoluzione adottata durante la manifestazione probabilmente non aiuterà a calmare le acque. I tatari rivendicano uno status autonomo e una piena tutela dei propri diritti. Inoltre chiedono nuove leggi che garantiscano la loro rappresentanza nel governo della Crimea. In molti sostengono che le discriminazioni sono aumentate da quando la regione è diventata parte della Russia.
Tuttavia, alcuni buoni segnali si possono intravedere negli ultimi giorni. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha incontrato i rappresentanti dei tatari di Crimea a Sochi il 16 maggio. “Noi, sia come autorità federali che poteri regionali e locali, siamo pronti a lavorare con tutte le persone che vogliono realmente migliorare la vita delle persone nella loro terra”, ha detto Putin. A seguito dell’incontro ha riferito l’agenzia russa Itar-Tass che Remzi Ilysaov, un rappresentante del Mejilis, è stato nominato vice-presidente del parlamento della Crimea. I tatari rappresentano più del 12% dei due milioni della popolazione della Crimea e sono stati finora i più forti oppositori della sua annessione da parte della Russia.
Il 18 maggio i tatari di Crimea hanno commemorato i 70 anni dalla deportazione della loro gente in Asia centrale voluta da Josef Stalin, ma le autoproclamate autorità della penisola non hanno accolto di buon grado la commemorazione. Al leader tataro Mustafa Dzhemilev, è stato vietato dalle autorità de facto l’ingresso in Crimea, mentre la comunità ora manifesta per l’autodeterminazione e l’autonomia territoriale.