Qualcuno ha detto che dare la colpa a Putin di tutto quello che è successo in Ucraina nell’ultimo anno è come sparare sulla croce rossa. Credo che fosse un modo spicciolo per dire che è difficile negare che la gestione che il Cremlino ha fatto della crisi ucraina del dopo EuroMaidan, e della guerra in Donbass che ne è scaturita, è stata a dir poco disinvolta. Ma che, nello stesso tempo, se è troppo facile trovare un capro espiatorio è anche semplicistico e riduttivo.
Voglio provare a fare una cosa che non ho mai fatto in questo blog: riassumere per grandi linee le mosse della Russia sullo scacchiere ucraino nell’ultimo anno. Almeno, come dire, quelle alla luce del sole o quasi. E provare, col senno di poi, a rimettere insieme qualche tassello che potrebbe essersi perso nella foga dello scontro di opinioni.
Accordo di associazione
Esattamente un anno fa, a novembre 2013, eravamo qui a speculare su cosa avrebbe fatto Janukovich alla vigilia del summit con l’Ue a Vilnius. Non tanto se firmare o non firmare l’Accordo di associazione, ma come fare a non firmarlo. L’occasione gli fu offerta su un piatto d’argento proprio dall’Ue, che aveva condizionato la firma dell’accordo alla liberazione di Julja Tymoshenko. Janukovich aveva sempre sostenuto (formalmente a ragione) che non era nei poteri del presidente modificare una decisione della magistratura, e che una legge speciale era alla Rada. Il parlamento non decise (per l’astensione dei comunisti e del partito delle Regioni di Janukovich) e l’iter fu sospeso. In un ultimo disperato tentativo, Angela Merkel lo rimproverò in maniera poco diplomatica. “Ci aspettavamo di più da lei”, disse durante un incontro. Janukovich, preso in castagna come uno scolaretto, scaricò tutta la colpa su Putin. “Abbiamo molti problemi con Mosca. Sono rimasto solo per tre anni e mezzo, in una condizione sfavorevole con la Russia… uno contro uno”, disse unendo i pugni. Dunque, non è un segreto che il Cremlino ha fatto pressioni enormi su tutti i partner orientali, ma come mai con l’Ucraina di Janukovich ha funzionato e con la Moldavia, per esempio, no? Probabilmente, non tutto dipendeva da Mosca.
Crimea
Ho scritto più di una volta di come quello della Crimea sia stato l’equivalente internazionale di uno scippo. Senza ripetere qui le modalità con cui è avvenuto, è il caso di rivedere quali sono state le giustificazioni. La versione di Mosca è più o meno questa: c’è stato un colpo di stato a Kiev, si è insediato un governo fortemente antirusso, la popolazione della Crimea si è sentita minacciata e ha chiesto l’aiuto della Russia. Ora, ancora una volta, discutere sull’esistenza o meno del pericolo neonazista e dell’urgenza di un intervento salvatore russo è come discutere dei dischi volanti. Il punto è che a giustificare, almeno attraverso la cinica legge della geopolitica, l’intervento di Putin sarebbero state sufficienti le vere ragioni. E cioè che per niente al mondo poteva essere messa a rischio la presenza navale russa nel Mar Nero. Ed è difficile sostenere che un eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato non avrebbe messo a repentaglio le basi navali russe in Crimea. E allora, quella in Crimea è stata un mossa o una contromossa?
Donbass
Prima di diventare una guerra, quella in Donbass aveva tutte le caratteristiche per essere una replica di quanto visto in Crimea. In una prima fase c’è stato il ritorno degli “omini verdi” senza effigi, insieme a qualche ceceno e osseto. Per una qualche ragione imperscrutabile, però, il bis della Crimea non si è visto. E si è vista invece l’offensiva militare di Kiev che, con un nome poco indovinato, ha dato avvio all’Ato (operazione antiterroristica). Non voglio qui dire che se non c’è stata una guerra in Crimea il merito è di Putin, ma certamente se c’è una guerra in Donbass, la colpa non è tutta russa. L’Ato fu lanciata dall’ex presidente ad interim Turchynov, ma nessuno se n’è quasi accorto finché Poroshenko, non appena eletto, ha dato ordine di fare in fretta. Un esercito generalmente male addestrato ed equipaggiato, in parte formato da battaglioni paramilitari di volontari, se l’è dovuta vedere con una milizia separatista altrettanto male in arnese. Armi vecchie e imprecise, ordini confusi e una catena di comando a dir poco lasca continuano a causare morti inutili da tutte e due le parti. Oltre che tra i civili. In diverse occasioni poi, si è avuta l’impressione che i fili mossi da Mosca non sempre funzionassero a dovere, come per esempio quando lo stesso Putin aveva chiesto ai separatisti di Donetsk e Lugansk di posticipare il referendum per l’indipendenza o quando alcuni comandanti ribelli si sono lamentati di non ricevere aiuto sufficiente.
Insomma, a voler sparare sulla croce rossa, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Qualcuno ha detto che dare la colpa a Putin di tutto quello che è successo in Ucraina nell’ultimo anno è come sparare sulla croce rossa. Credo che fosse un modo spicciolo per dire che è difficile negare che la gestione che il Cremlino ha fatto della crisi ucraina del dopo EuroMaidan, e della guerra in Donbass che ne è scaturita, è stata a dir poco disinvolta. Ma che, nello stesso tempo, se è troppo facile trovare un capro espiatorio è anche semplicistico e riduttivo.