L’Indian National Congress, in pratica, non sta più facendo campagna elettorale. L’impressione è che sia pronto a subire una sconfitta memorabile e, a questo punto, Rahul Gandhi potrebbe essere il capro espiatorio necessario alla sopravvivenza del primo partito indiano.

Il 24 aprile sono stati chiamati al voto oltre 70 milioni di residenti in Tamil Nadu, lo stato più popoloso dell’India meridionale, e sarà stato il caldo vero della stagione pre monsonica (più di quaranta gradi di giorno, minime poco sotto i 30), ma camminando per le strade di Chennai l’impressione è stata di disinteresse generale degli affari nazionali.
Difficile biasimare il 60 per cento che si è recato diligentemente alle urne e che, per l’ennesima volta, si è trovato a scegliere realisticamente tra i due partiti di stampo dravidico che monopolizzano la politica locale: il Dmk di Karunanidhi e l’Aiadmk di Jayalalithaa, attuale chief minister dello stato. Entrambe le formazioni politiche hanno attrezzato una campagna elettorale assolutamente local, fregandosene altamente dei temi cosiddetti panindiani. Il dato che dovrebbe spingere chi si interessa di India ad una riflessione è che, al contrario della campagna elettorale martellante che ha individuato i personaggi principali in Modi, Kejriwal e Rahul Gandhi, c’è tutta una parte di India (in Tamil Nadu come in Kerala, Bengala Occidentale, Punjab, Orissa, tutti gli stati del Nordest) che alle urne se ne infischia altamente dei leader proiettati a livello nazionale. L’orizzonte del voto non va oltre alla realtà locale – e come potrebbe? – rendendo possibile che nelle elezioni parlamentari per eleggere in seguito un governo nazionale i principali partiti, in questi territori, siano completamente ininfluenti.
La lotta anticorruzione di Aap? In Tamil Nadu è virtualmente inesistente. La Modi Wave? A giudicare dai loghi affissi tra cartelloni pubblicitari e banchetti dei seggi, il Bjp prenderà poco e nulla e lo stesso discorso vale per l’Indian National Congress. Ci si prepara, quindi, al balletto delle alleanze a urne chiuse, dove Jayalalithaa – favorita in Tamil Nadu – potrebbe essere uno dei “king-maker” garantendo l’appoggio al governo di coalizione targato Bjp: salvo sorprese imprevedibili alle urne, l’era Modi – se mai comincerà – partirà col freno a mano, in un’estenuante tira e molla diplomatico coi partiti locali che lo sosterranno. E lì si vedrà davvero la stoffa del leader, se Modi ne è provvisto oltre i confini del “suo” Gujarat.
Man mano che le fasi del voto si esauriscono è sempre più difficile interpretare la strategia apparentemente suicida messa in campo dall’Indian National Congress. Il primo partito indiano pare quasi abbia già alzato bandiera bianca, non sta facendo campagna elettorale e a livello mediatico è costretto a inseguire l’agenda dettata da Bjp e – in misura minore – da Aap. A pensare con malizia, una chiave potrebbe essere l’intenzione, a questo punto, di “bruciare” un candidato effettivamente debole come Rahul Gandhi, scommettere sull’implosione della coalizione guidata dal Bjp contando sulla – passata – testardaggine di Modi e ripresentarsi alle prossime elezioni (o in un rimpasto parlamentare) con un candidato più autorevole, magari la stessa sorella di Rahul, Priyanka, generalmente riconosciuta come l’erede della nonna Indira in termini di determinazione e appeal.
Ma qui siamo già nel campo della fantapolitica.
L’Indian National Congress, in pratica, non sta più facendo campagna elettorale. L’impressione è che sia pronto a subire una sconfitta memorabile e, a questo punto, Rahul Gandhi potrebbe essere il capro espiatorio necessario alla sopravvivenza del primo partito indiano.