Il cambiamento dell’economia è partito e non torna indietro.

“Abbiamo avuto una giornata meravigliosa di gioia, forte emozione e grande vittoria” dice un messaggio che arriva privatamente da Cuba. “Felicità e stupore. Nessuno era pronto per tali notizie, tutte insieme. Per strada la gente si abbracciava e si congratulava”, scrive il corrispondente de La Jornada, un giornale messicano che simpatizza per il regime cubano. “’È un miracolo di San Lázaro’ esclama Maria Candalaria, una casalinga, devota del santo patrono del quartiere più popolare di L’Avana. Stupore e vittoria per la ripresa delle relazioni diplomatiche? No, stando alla stampa cubana, il Granma, su la cui prima pagina il giorno dopo l’annuncio dei presidenti Castro e Obama campeggia un “Sono rientrati!” su quattro colonne. L’allegria e la vittoria sono dovute al rientro in patria dei cinque cubani detenuti negli Usa. Ed è comprensibile, perché la campagna per liberare i cinque antiterroristas accusati negli Usa di spionaggio è durata anni, è stata martellante e molto sentita.
Il cubani sono 11 milioni ma da qualche anno non più una società così perfettamente omogenea come prima con un partito, un leader, un datore di lavoro, lo Stato. Il momento di grande emozione dopo il breve discorso di Raúl Castro ha toccato quindi corde diverse. I minori limiti alle rimesse (2 miliardi di dollari l’anno), i visti più semplici e la quantità maggiore di prodotti che i viaggiatori potranno portare con se, tra cui $ 100 dollari di rum e sigari, ha succitato in molti la speranza di una vita meno faticosa con qualche peso in più in tasca, affari più semplici o addirittura maggiori investimenti e capitali esteri. La minoranza che ne trarrà beneficio nell’immediato è quella dei protagonisti della modernizzazione a piccoli passi dell’economia cubana degli ultimi otto anni. Nel messaggio del 17 il fratello di Fidel Castro ha ricordato che l’economia è “la principale questione in sospeso”. Anche se a Raúl toccherà manovrare per tenere tranquillo il resto del Partito comunista. Aleida Guevara, la figlia del Che Guevara, in un’intervista di quattro giorni prima dell’annuncio sul sito Theprisma, ha riaffermato che la gente a Cuba non vorrebbe mai, mai, un cambiamento economico radicale. “Vogliamo vedere la fine dell’embargo, ne abbiamo bisogno”.
All’apparenza, dalle informazioni del Granma, l’unico organo di stampa, non tutti hanno ricavato che lo storico annuncio non include la fine dell’embargo. Un messaggio che arriva da Cuba dice: Fidel, “il nostro leader storico della rivoluzione cubana ha visto il frutto della sua lunga lotta, è vivo e forte per applaudire il ritorno dei cinque e la fine dell’embargo!”.
Di Fidel in realtà non si sa quanto abbia gioito, perché non ha ancora parlato, non una foto in tv e nemmeno una riga sul Granma, come ci si aspetterebbe. Tutti i riflettori sono puntati su Raúl, al potere dopo i 46 anni del fratello maggiore. È lui che a partire dal VI congresso del Partito del 2011 ha cominciato a cambiare l’economia lentamente, rendendo più facile, ma come succede in questi casi, anche più cara, la vita alle persone. D’allora si sono aperti spazi alla proprietà cooperativa agricola, alle imprese miste con capitale straniero e ai piccoli imprenditori o ai singoli che vogliono lavorare per conto proprio.
I cuentapropistas, come li chiamano sull’Isola, illustrano bene il cambiamento strisciante. Le professioni che si possono svolgere in proprio sono circa 400 – tra cui artigiani, parrucchieri, palestre, sartorie, taxi, fotografi, le mitiche arrotolatrici di sigari e i molto attivi ricaricatori di accendini. Sono 450.000 i cubani non più alle dipendenze dello Stato o il 9% della popolazione forza lavoro attiva. Tra queste, il 29% sono donne secondo i dati del ministero del Lavoro cubano e diventano sempre di più, con mesi record di nuove adesioni di 8000 persone.
Milagros Díaz che arrotola sigari da 48 anni racconta all’agenzia Reuters di essere immensamente felice che finalmente il mercato statunitense si apra ai suoi habanos. Quando lavorava nella manifattura statale Romeo y Julieta arrotolava fino al 200 sigari al giorno in ogni turno di otto ore. Ora lavora in proprio in una postazione all’Hotel Nacional de L’Avana con un ritmo più rilassato. Vende sigari che preparare lì per lì con le stesse tecniche di duecento anni. “Pensavo che con 67 anni non avrei mai visto quel rapporto diplomatico”, dice Díaz. “Vendere più sigari aiuterà a finanziare i coltivatori… Questo è solo l’inizio”.
Il cambiamento sarà forse più veloce nella zona dietro al Melecón, il lungomare dove la gente si affaccia dopo il lavoro; o attorno all’Avenida 5°, nei bar siti spesso in un primo o secondo piano che chiudono al mattino; e nella zona dei grandi alberghi dove i tassisti che raccolgono i clienti nei loro Almendrones, Ford, Chevrolet e Mercury degli anni ’50. Il parco auto più vecchio del mondo, un museo su gomma, attira i turisti, ma per i tassisti la vita non è facile. Anche se uno riesce a intascare fino a € 20 al giorno con corse da 20-60 eurocent, il più se ne va in riparazioni perché le gomme scoppiano in continuazione a causa delle buche e tutti i pezzi di ricambio devono essere approntati su misura. In più deve pagare le tasse varie volte l’anno. Complessivamente, le tasse sulle attività private, cresciute del 18%, rappresentano ora il 2% del bilancio dello Stato.
Molte piccole e medie attività falliscono data la bassa capacità di acquisto di cubani. Il guadagno medio è di circa € 25 al mese, o 500 pesos nazionali e la maggioranza non ha accesso alle divisas o pesos convertibles, una valuta che convive con il peso nacional ed equivale al dollaro.
La minoranza che le riesce ad avere sta costituendo una nascente classe media che veste griffato e usa smartphone importati. Grazie alle divisas possono comprare case e auto e finanziarie imprese che richiedono migliaia di euro di investimento.
La politica interessa loro poco. La lasciano ai militanti e ai dirigenti. Tanto più che il Partito comunista resterà al potere dopo Raúl Castro secondo dice Aleida Guevara perché il Partito “non è al potere, è l’unico partito e il potere sta nelle mani del popolo. Il popolo ne ha fiducia”.
E il Pcc ha una linea chiara: “Non seguiremo la strada dell’Europa [dell’Est] che ha condotto alla sparizione del socialismo”, dice José Luis Rodríguez, ex ministro dell’Economia fino al 2009, a El Economista de Cuba. “Cuba non va verso un socialismo di mercato, come vuole la cubanologia. Non si tratta di ‘riformare l’economia’, ma di ‘attualizzarla’. Anche forme di proprietà non statali possono contribuire allo sviluppo del paese”. Ciò vuol dire aprire anche alle grandi imprese estere, come succede da diversi anni nel settore del turismo e del petrolio con Repsol-Ypf e da un paio di anni in quello dello zucchero.
“Senza zucchero non c’è paese” si è sempre detto a Cuba e oggi l’assioma è forse più vero che mai. Il contesto è però cambiato. Gli Usa stanno per diventare autosufficienti e lo stesso il Messico che, inoltre, grazie al Nafta sarebbe il fornitore privilegiato di Usa e Canada. In più, quello dello zucchero e uno dei mercati più protetti e distorti del mondo e il prezzo reale dello zucchero è diminuito.
A rilanciare la produzione cubana ci sta provando il gigante brasiliano Odebrecht in uno storico zuccherificio a Cienfuegos. Il problema è che l’infrastruttura per lo zucchero è rimasta anch’essa quella di decenni fa e senza capitali per ammodernarla la produzione è scesa dagli 8 milioni di tonnellate del 1970 a scarsi 1,2 milioni di tonnellate nel 2012. All’orizzonte c’è ora la potenziale produzione di etanolo in grande scala, finora contrastata da Fidel Castro, che si oppone all’uso di materie prime alimentari per fabbricare biocombustibili. Alcuni esperti valutano che una risuscitata industria dello zucchero potrebbe far diventare Cuba il terzo maggiore produttore di biocombustibili dopo Stati Uniti e Brasile. Sul commento di Alida Guevara “senza l’embargo Cuba rifiorirebbe” sono tutti probabilmente d’accordo.
Ma embargo o no, Cuba sta cambiando.
Il cambiamento dell’economia è partito e non torna indietro.