Tolleranza zero verso populismi nazionalisti e demagogie a basso costo.
Partiamo dal caso greco, sul quale si sono espressi ormai tutti, dai premi Nobel ai presentatori televisivi, passando per i più irresponsabili tra i politici.
La tesi più popolare è raccontata in modo apparentemente attendibile (rispetto a qualche ridicola video-intervista virale) e scientifico nel cliccatissimo articolo del giornalista ellenico Yiannis Mouzakis, che sottolinea come solo 27 dei complessivi 237 miliardi di euro dei due primi programmi di bail-out siano andati al governo greco, mentre l’89% dei fondi erogati sarebbe stato utilizzato a beneficio delle banche.
Provo a spiegare perchè queste tesi sono totalmente “campate in aria”, qualche volta in buona fede, nella maggior parte dei casi in cattivissima fede, ma purtroppo con grande successo sempre. Utilizzando i dati della Bank of International Settlements (che è un’autorevolissima istituzione internazionale, non una banca, dunque al di sopra di ogni sospetto), è facile evincere che – a dispetto della narrativa comune – solo una parte minoritaria dei fondi erogati alla Grecia è andata a banche straniere. I beneficiari del bail-out della Grecia sono infatti soprattutto il governo, le banche greche ed i loro depositanti, com’era giusto che fosse.
Rifacciamo qualche conto: alla fine del 2009, il debito pubblico greco collocato presso investitori esteri era pari a 68 miliardi di euro. Per i primi due salvataggi (bail-out 2010 e 2012) vengono erogati effettivamente 149 miliardi di euro (e non i 237 menzionati da Mouzakis, che fa riferimento ad un ammontare solo in parte erogato), di cui la quota che va alle banche estere è del 43%; questa, se riferita alle sole banche tedesche e francesi, si riduce al 25%, dunque a 37 miliardi circa; secondo la ripartizione della BIS, questa quota rappresenterebbe rispettivamente l’1,3 e l’1,9% del totale dei crediti esteri delle banche tedesche e francesi, con buona pace di chi sostiene che questi soldi siano serviti solo a rimettere in sesto i conti degli istituti di credito di questi due Paesi. E il rimanente 57% (oltre 84 miliardi!)? Gran parte nelle casse del Governo greco (che ha così potuto continuare a pagare stipendi pubblici e pensioni) e poco più del 20% in quelle delle banche greche!
Inoltre nel 2012, in occasione del secondo bail-out, il governo greco è riuscito ad imporre un haircut (cioè una “remissione del debito”, come recita il Padre Nostro…) sul debito pari al 52% del valore nominale, che ha comportato una perdita secca per le banche creditrici di iniziali 30 miliardi, destinati a crescere nei mesi successivi, non proprio bruscolini…
Aggiungiamo che tra novembre 2014 e maggio 2015, i Greci hanno ritirato dalle banche 32 miliardi di euro. Soldi che, senza i vari piani di aiuto, le banche non avrebbero mai potuto erogare…
Eppure, a partire dal Premier greco, si è sviluppata una serie di interpretazioni di finto sostegno alle ragioni del popolo greco, che sono venute da destra e da sinistra, indistintamente contro l’Europa e a favore di soluzioni nazionali della gestione delle crisi e dell’economia. Anche su questioni diverse, come l’esodo migratorio verso le coste meridionali del continente, i movimenti populisti nazionali si affannano a solleticare i sentimenti più biechi e retrivi delle opinioni pubbliche dei 28, spaventate dalla manifesta incapacità dei leader nazionali ed europei di fornire soluzioni efficaci e convincenti, presi come sono tutti dalla morsa di consultazioni elettorali troppo ravvicinate e locali (una ogni sei mesi, nell’Europa dei 28), non armonizzate in un contesto di integrazione federale.
Alle ultime elezioni europee, i partiti populisti sono stati i primi per consenso elettorale in Danimarca, Francia e Regno Unito, secondi in Italia, terzi in Austria, Finlandia e Grecia (dove poi hanno conquistato il Governo nazionale a gennaio). Le loro ricette non prevedono politiche identiche, ma sempre dannose e potenzialmente distruttive per la convivenza civile.
Il costo piú preoccupante della crisi greca (commentato da pochissimi) e della gestione irresponsabile che la sua classe dirigente ne ha fatto è che quote sempre più ampie di elettori non perdono occasione per manifestare il loro dissenso nei confronti dei partiti che stanno gestendo politiche di austerità. Come se non bastasse, la critica populista all’Europa tecnocratica si è venuta ad intrecciare con il nazionalismo di chi rifiuta l’integrazione monetaria in nome del ritorno alle sovranità nazionali del passato, che rischiano di portarci a divisioni e guerre più disastrose di quella che in Ucraina sta vedendo di nuovo di fronte due paesi europei.
È necessario – vero Angela? – procedere decisi verso una mutualizzazione delle responsabilità almeno nell’area euro, con un solo ministro dell’Economia, una sola politica economica e fiscale, unico modo per garantire quelle risorse che possono rilanciare livelli di crescita e di benessere idonei ad allontanare gli spettri dei populismi irresponsabili, fonti e moltiplicatori di ulteriori conflitti…
Tolleranza zero verso populismi nazionalisti e demagogie a basso costo.